Patologia gastrointestinale
Mercoledì, 06 Agosto 2014

Light my FIRE-3

A cura di Giuseppe Aprile

Amici, ogni estate ha il suo tormentone. Meglio combinare FOLFIRI a cetuximab o a bevacizumab nel trattamento di prima linea di pazienti con CRC avanzato e biologia molecolare permissiva? Nel 1966, il successo di Jim Morrison. Nel 2014, è la volta di Volker Heinemann?

Heinemann V, et al. FOLFIRI plus cetuximab versus FOLFIRI plus bevacizumab as first-line
treatment for patients with metastatic colorectal cancer (FIRE-3): a randomised, open-label, phase 3 trial. Lancet Oncol 2014 Epub Jul 31

Il trial di fase III randomizzato FIRE-3, di matrice germanica, si proponeva di rispondere all'interrogativo di quale fosse il miglior farmaco biologico da abbinare allo schema FOLFIRI peri pazienti con carcinoma colorettale KRAS WT su esone 2 (codone 12/13).

592 pazienti sono stati randomizzati a FOLFIRI + cetuximab vs FOLFIRI + bevacizumab, ma e' importante segnalare come l'endpoint primario dello studio fosse il tasso di risposta e la sperimentazione non prevedesse inizialmente una revisione radiologica indipendente. Endpoint secondari la PFS e la OS.

Durante la conduzione del trial sono emersi i dati della necessita' di una selezione molecolare piu' estesa per ottimizzare l'utilizzo degli inibitori di EGFR (escludendo dal trattamento anche i pazienti KRAS mutati su altri codoni e NRAS mutati).

Lo studio e' formalmente negativo nell'endpoint primario per la popolazione ITT: RR 62% nel braccio esposto a cetuximab vs 58% in quello esposto a bevacizumab (OR 1.18; 95%CI 0.85-1.64, p=0.18). 

Nessuna differenza, inoltre, in termini di PFS mediana nei due bracci di trattamento: 10 mesi vs 10.3 mesi (HR 1.06, 95%CI 0.88-1.26, p=0.55).

Inaspettatamente, invece, si e' documentata una significativa differenza in sopravvivenza mediana a favore del braccio con EGFR inibitore: 28.7 mesi vs 25 mesi (HR 0.77, 95%CI 0.62-0.96, p=0.017) e tale differenza, già clinicamente rilevante, diventava ancora più evidente quando l'analisi era ripetuta nei 242 pazienti RAS WT (33.1 mesi vs 25.6 mesi, HR 0.70, 95%CI 0.53-0.92, p=0.01).

Vi sono tuttavia delle difficoltà nell'interpretazione e nella comprensione di questo dato: come è possibile che un trattamento durato circa 5 mesi che non sembra impattare sul tasso di risposta né sulla PFS mediana produca poi un significativo vantaggio in sopravvivenza?

Non vi sono differenze nei trattamenti post-progressione; per dare ragione alla differenza in sopravvivenza gli autori riportano tra le possibili motivazioni le sequenze dei trattamenti ricevuti e la deepness of response (un concetto astratto, basato su un modello ipotetico, secondo il quale una maggiore profondità di risposta potrebbe poi condizionare la sopravvivenza del paziente).

Le successive presentazioni e update dei dati nel corso del 2014 (ASCO GI, ASCO, WCGIC e le prossime all'ESMO) stanno via via aggiungendo informazioni per comprendere in modo completo il quadro. Ma nel frattempo, il tanto atteso trial CALGB 80405 presentato alla plenary session dell'ultimo ASCO Annual Meeting, che ha confrontato in prima linea i due biologici in una popolazione simile non ha confermato il vantaggio in sopravvivenza (HR 0.92).

Discutibili le affermazioni degli autori pubblicate nel box research in contest della rivista, anche perchè con onestà gli stessi autori poche righe prima ammettono che "....secondary endpoints are exploratory measures of outcomes and results should be interpreted accordingly". 

Il dubbio (anche non discografico) rimane: se questo sia un intramontabile successo o un brano di cui tra un paio d'anni rimarrà solo un ricordo, lo vedremo.

Lo studio, pur negativo nell'endpoint primario, evidenzia un inatteso (e non trascurabile) vantaggio in sopravvivenza, soprattutto nella popolazione all RAS WT. Se la deepness of response sia sufficiente a dare una spiegazione ragionevole al dato rimane incerto, nella attesa di avere maggiori informazioni sullo studio CALGB.