Patologia gastrointestinale
Giovedì, 15 Dicembre 2016

Storie da terapia intensiva

A cura di Giuseppe Aprile

Una pooled analysis di tre studi del Gruppo Oncologico Nord Ovest dimostra come un trattamento ad alta intensità (FOLFOXIRI e bevacizumab) possa modificare la storia naturale del paziente con carcinoma del colon e metastasi limitate al fegato.

Cremolini C, et al. Efficacy of FOLFOXIRI plus bevacizumab in liver-limited metastatic colorectal cancer: A pooled analysis of clinical studies by Gruppo Oncologico del Nord Ovest. Eur J Cancer 2016; epub Dec 12.

Anche i pazienti con carcinoma del colon con metastasi epatiche inizialmente non resecabili hanno chance di lungosopravvivenza e - verosimilmente - di guarigione. Ma devono passare attraverso una serie di passaggi che includono a) la terapia di induzione/conversione proposta da un oncologo coraggioso e b) la chirurgia radicale di un bisturi esperto.

In questi pazienti, proporre un trattamento intenso con tre chemioterapici (schema FOLFOXIRI) in associazione al farmaco antiangiogenico benvacizumab puoò essere una scelta adatta, indipendentemente dallo stato mutazionale di RAS e RAF. Questa terapia, infatti, ha un doppio obiettivo: ridurre dimensionalmente il tumore per rendere fattibile una chirurgia inizialmente improponibile e eradicare la malattia micrometastatica impattando favorevolmente sull'outcome a lungo termine e sulla possibilità di guarigione.

Il gruppo GONO, con grande esperienza nell'utilizzo della tripletta, propone una pooled analysis di tre studi clinici (FOIB, TRIBE e MOMA) descrivendo l'outcome di 541 pazienti con carcinoma colorettale avanzato e malattia non resecabile ma limitata al fegato trattati upfront con FOLFOXIRI e bevacizumab, verificando l'associazione di variabili basali con la chance di resezione radicale e di sopravvivenza a lungo termine.

Da notare che tutti e tre gli studi (un fase II, un fase II R e un fase III R) avevano come criterio di eleggibilità la chiara non resecabilità della malattia; in caso di dubbio era richiesto il confronto con un team di chirurghi esperti.

 

 

541 pazienti inclusi nella analisi, di questi 205 avevano malattia localizzata esclusivamente al fegato (nel 90% dei casi sincrone alla diagnosi, nel 61% in numero superiore a 4 e nel 79% dei casi presenti in entrambi i lobi epatici).

Tasso di risposte: 69%.

Tasso di resezione R0-R1: 36.1 %; tasso di resezione R2 8.3%

OS mediana dei pazienti sottoposti a resezione R0-R1: 44.3 mesi, significativamente piuù lunga di quella riportata nei pazienti R2 o in quelli non resecati (HR 0.32, 95%CI 0.22-0.48)

Probabilità di sopravvivenza a 5 anni per pazienti sottoposti a resezione radicale: 43%.

L'outcome postchirurgico non pareva influenzato dalle caratteristiche basali o dalla biologia molecolare della neoplasia.

L'analisi conferma sia l'alto tasso di risposte (sottolinenado l'importanza del RR in questo setting) che quello di resezioni secondarie per pazienti con malattia metastatica localizzata al fegato trattati con tripletta e bevacizumab.

I pazienti che raggiungono la resezione radicale (R0 o R1) hanno poi un significativo vantaggio in outcome e una concreta possibilità di guarigione; i dati sono concordi a quelli presentati da Dario Ribero al congresso nazionale AIOM 2016.

L'analisi di correlazione tra la risposta istopatologica e l'outcome è stata possibile solo in 54 pazienti (valutato il TRG) e non ha tenuto conto della possibilità di necrosi similinfartuale segnalata da Bibeau come effetto del trattamento antiangiogenico (Bibeau F, et al. Br J cancer 2013; Bibeau F, et al. Ann Oncol 2016, poster).