Pubblicata in forma estesa l'interim analysis del CheckMate 9DW, trial randomizzato di fase III che confronta in pazienti con HCC avanzato ipilimumab e nivolumab vs lenvatinib/sorafenib. Quasi simultaneamente escono anche le nuove linee guida ESMO per il trattamento dell'epatocarcinoma.
Yau T, el al. Nivolumab plus ipilimumab versus lenvatinib or sorafenib as first-line treatment for unresectable hepatocellular carcinoma (CheckMate 9DW): an open-label, randomised, phase 3 trial. Lancet 2025 epub ahead of print May 8.
Nella scelta del trattamento sistemico per paziente con HCC avanzato e BCLC B-C con adeguata riserva epatica e PS 0-1 le linee guida ESMO 2025 (Vogle A, et al. Ann Oncol 2025) inseriscono uno snodo decisionale fondamentale: la valutazione riguardo all'idoneità a ricevere immunoterapia. Nel caso questa condizione sia rispettata, vi sono molteplici possibilità di prescrizione, sebbene le due largamente favorite nel contesto europeo siano la doppietta di atezolizumab e bevacizumab (studio IMbrave 150, valutazione I,A, MCBS 5) e la combinazione di durvalumab e tremelimumab (trial HIMALAYA, valutazione I, A, MCBS 5).
In questo contesto è stato condotto lo studio randomizzato in aperto di fase 3 CheckMate 9DW che ha randomizzato oltre 660 pazienti a ricevere nivolumab (1 mg/kg) + ipilimumab (3 mg/Kg) per un massimo di 4 dosi trisettimanali seguite da mantenimento con solo nivolumab (flat dose 480 mg ogni 4 settimane) vs lenvatinib (8 o 12 mg in base al peso corporeo) o sorafenib a dopsi standard. I fattori di stratificazione dello studio includevano l'eziologia della patologia epatica (HBV-relata,HCV-relata, non infettiva), la presenza di invasione vascolare macroscopica o lo spread di malattia extraepatico (presente, assente anche combinato) ed il valore basale di AFP plasmatica (minore o maggiore a 400 ng/mL).
Endpoint primario dello studio era la sopravvivenza overall nella popolazione ITT; la safety è stata analizzata come endpoint esploratorio nella popolazione che ha ricevuto almeno una dose di trattamento.
I dati sono stati pubblicati dopo un follow-up mediano di poco inferiore ai 3 anni.
Sono stati arruolati in totale 668 pazienti (335 assegnati al braccio di doppia immunoterapia vs 333 assegnati a quello di TKI, dove 85% dei pazienti ha ricevuto lenvatinib per scelta dell'investigatore).
La sopravvivenza mediana è stata di 23.7 mesi nel braccio sperimentale vs 20.6 mesi in quello standard (o meglio, standard all'epoca della conduzione dello studio): HR 0.79, 95%CI 0.65-0.96, p=0.018.
Si segnala tuttavia che le curve di sopravvivenza subivano un crossing precoce nei primi mesi di osservazione (HR 1.65, 95%CI 1.12-2.43), a testimonianza del maggiore rischio di morte per tossicità nel braccio sperimentale, seguito poi da una ampia separazione che si vedeva dal dodicesimo mese in poi (HR 0.61, 95%CI 0.48-0.77).
A 24 mesi e 36 mesi la probabilità di sopravvivenza era del 49% vs 39% e del 38% vs 24%, sempre a favore del trattamento con doppia immunoterapia.
Interessante anche notare un tasso di risposta con la combinazione di immunoterapia del 36%, sebbene in una popolazione favorevolmente selezionata.
Gli eventi avversi di grado 3 e 4 erano sostanzialmente identici per frequenza nei due bracci di trattamento (41% vs 42%), ma si registrava un più elevato numero di morti tossiche tra i pazienti assegnati al braccio sperimentale (12 vs 3).
Lo studio porta evidenza a favore di una nuova possibile combinazione in prima linea (median OS che sfiora i due anni), opzione terapeutica peraltro già inclusa nelle recenti Linee Guida ESMO e accompagnata dal più elevato tasso di risposta radiologica mai riportato per pazienti con HCC avanzato (RR del 36%) e da un vantaggio in qualità di vita.
Tuttavia la tossicità va sempre considerata nel bilancio rischio/beneficio: un paziente su 5 interrompe il trattamento a causa di effetti avversi (18%) ed è stato documentato un più elevato rischio di morte correlato al trattamento per i pazienti che hanno ricevuto la combinazione di ipilimumab e nivolumab: il dato del 4% è doppio rispetto a quello riportato per la combinazione atezolizumab-bevacizumab (2%) e di tremelimumab-durvalumab (2.3%), e deve essere considerato con particolare cautela in quanto verificatosi nei primi sei mesi di terapia in una popolazione di pazienti a buona prognosi.