Patologia gastrointestinale
Giovedì, 17 Marzo 2022

Tumor budding? Not so bud.

A cura di Giuseppe Aprile

Poche cellule che germogliano al fronte invasivo della neoplasia, possono davvero influenzare la chance di guarigione? L'evidenza avanza per considerare il tumor budding un nuovo fattore prognostico. Idea italiana su IDEA francese.

Basile D, et al. Tumor budding is an independent prognostic factor in stage III colon cancer patients: A post-hoc analysis of the IDEA-France phase III trial (PRODIGE-GERCOR). Ann Oncol 2022, Mar 16, epub ahead of print

Sebbene la classificazione TNM rimanga un incrollabile riferimento clinico per la scelta della terapia adiuvante per pazienti radicalmente operati di tumore del colon, è anche noto che essa non permetta una raffinata selezione prognostica.

Abbiamo nel contempo dati che il fronte invasivo della neoplasia possa essere uno specchio della aggrressività biologica. Il tumor budding (letteralmente germoglio neoplastico) è un fenomeno tanto ben studiato nei tumori del colon da avere dato vita nel 2016 ad una consensus conference internazionale (ITBCC), dove si raccomandava il reporting di questo dato nel referto patologico. Il tumor budding può essere utile nello stimare il rischio nei tumori del colon in stadio II, la sua predizione prognostica negli stadi III rimaneva invece incerta.

Nel trial retrospettivo (analisi post-hoc) dell'IDEA France, è stato definito il budding neoplastico come una singola cellula tumorale o un cluster fino a 4 celule al fronte invasivo della neoplasia. Il TB è stato valutato in modo indipendente da due operatori e, in caso di discrepanza nel giudizio, revisionato da un patologo gastrointestinale esperto. Le categorie erano:
BD1 (0-4 buds/0.785 mm2: low), BD2 (5-9 buds: intermediate), BD3 (≥10 buds: high).

Lo studio si proponeva di correlare la presenza di tumor budding con l'otcome di oltre 1.000 pazienti arruolati nel trial randomizzato prospettico IDEA France (DFS, primary endpoint; OS endpoint secondario) per capire se questa valutazione avesse effettivamente un potere prognostico.

Tra i 1048 casi analizzati, la presenza di budding tumorale è stata classificata come BD1 nel 39%, BD2 nel 28% e BD3 nel 33%.

BD2 e BD3 erano associati in modo statisticamente significativo con la presenza di infiltrazione vascolare (p=0.002) e perineurale (p=0.0009).

In effetti, BD1 dava un outcome prognostico migliore della presenza di BD2/BD3, con tassi di DFS a tre anni che di OS a 5 anni più favorevoli (DFS rate a 3 anni per BD1 vs BD2/BD3 79.4% vs 67.2%, p=0.001; OS rate a 5 anni 89.2% vs 80.8% per BD1 vs BD2/BD3, p=0-001).

L'effetto prognostico rimaneva inalterato dopo l'aggiustamento per altri variabili prognostiche clinicopatologiche (HR 1.41 per DFS, HR 1.65 per OS); interessante anche notare che la accuratezza prognostca era significativamente migliorata associando l'informazine sul tumor budding a quella dello staging TNM patologico e all'immunoscore.

Cosa ci insegna questo studio traslazionale?

Sebbene si tratti di un'analisi retrospettiva condotta su una popolazione selezionata e possibilmente non rappresentativa della totalità dei pazienti inclusi nel trial prospettico randomizzato, come prima cosa rafforza la convinzione che la capacità prognostica sul rischio di recidiva/morte di un paziente operato radicalmente per carcinoma del colon debba essere migliorata: la definizione di basso rischio (T3/N1) vs alto rischio (T4 o N2) non è sufficiente.

Come seconda informazione ci spiega l'importanza di valutare il tumor budding quale fattore prognostico indipendente per stimare DFS e OS e quindi il valore del riportare il dato nel referto istopatologico per dare una migliore definizione del quadro. Non solo per stabilire nei T1 il rischio di infiltrazione linfonodale per decidere riuardo a una chirurgia maggiormente aggressiva, ma ora anche negli stadi III, per rifinire la definizione prognostica.

Come terzo dato, ci spiega che valutare il tumor budding equivale a fotografare un processo dinamico che surriga la valutazione della transizione epitelio-mesenchimale, nel quale il fattore regolatorio è l'espressione di E-caderina. Si speculava proprio la EMT costituisse un fattore di resistenza non solo agli antiblastici, ma anche agli EGFR inibitori e agli antiangiogenici, che hanno entrambi fallito in setting adiuvante. Inoltre, si avanza l'ipotesi la EMT possa anche essere un meccanismo di immuno-escape.

Come ultimo dato lo studio dimostra la possibilità di implementare l'informazione prognostica combinando il dato del TMN con la valutazione del tumor budding e dell'immunoscore, suggerendo il report analitico combinato dei parametri in ogni referto patologico per pazienti operati di tumore del colon con linfonodi positivi.

Complimenti a Debora Basile, giovane (e italianissima) autrice della pubblicazione.