Patologia gastrointestinale
Giovedì, 14 Aprile 2016

Tumore stromale gastrointestinale (GIST): pazopanib vince ma non convince

A cura di Giuseppe Aprile

Una malattia neoplastica dello stroma, rara e paradigmatica. Una molecola multitarget di nota efficacia nei sarcomi. Lo studio francese recentemente pubblicato testa il pazopanib in pazienti pretrattati per GIST metastatico. Ma è davvero questa la ricerca di valore di cui abbiamo bisogno?

Mir O, et al. Pazopanib plus best supportive care versus best supportive care alone in advanced gastrointestinal stromal tumours resistant to imatinib and sunitinib (PAZOGIST): a randomised, multicentre, open-label phase 2 trial. Lancet Oncol 2016; epub Apr 5.

Il trattamento dei GIST avanzati e non resecabili, i tumori mesenchimali più frequenti nel tratto gastroenterico, ha costituito un paradigma nell'oncologia dei tumori solidi. Una malattia dove il driver è facilmente identificabile (mutazioni attivanti il gene KIT sono presenti nell'80% dei casi), bloccata in modo efficace da una specifica terapia target (imatinib) che contrasta l'alterazione molecolare.

Negli anni a seguire, le evidenze di letteratura hanno consentito di stabilire una sequenza terapeutica per questa malattia: prima linea con imatinib, seconda linea con aumento raddoppio della dose del farmaco o trattamento con sunitinib, terza linea con regorafenib lasciando aperta la strada ad un possibile rechallange di imatinib.

In questo panorama deve essere inserito il trial di fase II randomizzato francese che, disegnato prima della pubblicazione dello studio GRID (Demetri GD et al, Lancet 2013) e del trial RIGHT (Kang YK, Lancet Oncol 2013), ha confrontato un trattamento di linea successiva con pazopanib somministrato alla dose di 800 mg/die e terapia di supporto vs la sola terapia di supporto in pazienti pretrattati con almeno due linee terapeutiche. Endpoint primario dello studio era la investigator-assessed PFS nella popolazione intention-to-treat. Il trial consentiva il crossover per i pazienti randomizzati alla sola terapia di supporto che potevano ricevere pazopanib al momento della progressione.

I dati sono stati pubblicati dopo un follow-up mediano di poco inferiore ai 30 mesi.

Il campione di pazienti inclusi nello studio era limitato (81 pazienti) e i pazienti con malattia metastatica la larga maggioranza. Oltre il 75% dei pazienti aveva ECOG PS 0 o 1 e nella metà dei casi la neoplasia mesenchimale originava a livello del piccolo intestino, sebbene nei dati internazionali l'origine intestinale sia di poco superiore al 25%. Oltre la metà dei pazienti aveva ricevuto almeno tre precedenti linee di terapia, l'ultima delle quali era stata interrotta per progressione di malattia nel 90% dei casi.

La PFS mediana è stata di 3.4 mesi nel braccio di trattamento con pazopanib (95%CI 2.4-5.6 mesi) e di  2.3 mesi (95%CI 2.1-3.3 mesi) nel braccio con sola terapia di supporto, HR 0.59, 95%CI 0.37-0.96, p=0.03, con ampia sovrapposizione degli intervalli di confidenza delle PFS. 

La probabilità di PFS a 4 mesi era del 45.2% in chi riceveva pazopanib vs 17.6% nel braccio di controllo.

Da notare che nella revisione centralizzata dell'imaging radiologico il vantaggio in PFS perdeva di significatività statistica (HR 0.70, 95%CI 0.44-1.11).

Quasi il 90% dei pazienti inizialmente assegnati alla sola terapia di supporto hanno ricevuto pazopanib al momento della progressione. Come prevedibile, il crossover ha impedito di verificare un potenziale beneficio in sopravvivenza overall (HR 0.94, 95%CI 0.56-1.56, p=0.69).

Inutile investire tempo nell'interpretazione dell'analisi per sottogruppi, numericamente inconsistenti.

Il profilo di tossicità del trattamento con l'inibitore multitarget ricalcava quello atteso dall'esperienza con il farmaco in altri sarcomi (vedi studio PALETTE, Lancet 2012). Particolare attenzione va segnalata per la possibile insorgenza di tromboembolia venosa.

Anche se lo studio ha raggiunto l'endpoint primario dimostrando un vantaggio statisticamente significativo per l'utilizzo di pazopanib in pazienti pretrattati, il corrispondente beneficio clinico è limitato e complessivamente poco convincente.

In assenza di fattori predittivi di risposta (traballanti i dati sulla concentrazione plasmatica steady-state del farmaco e quelli sulla genesi di ipertensione come possibili criteri per selezionare i pazienti con maggior beneficio), una molecola che aggiunge poche settimane di controllo di malattia in una patologia dove già abbiamo molte opzioni terapeutiche, dovrebbe fare riflettere sul futuro della ricerca clinica.