Patologia gastrointestinale
Giovedì, 30 Luglio 2020

Tumori del colon: come limitare il rischio di carcinosi peritoneale?

A cura di Giuseppe Aprile

 Lo studio francese Prophylochip-PRODIGE 15 indaga il ruolo di un second-look chirurgico combinato all'HIPEC in pazienti con alto rischio di sviluppare carcinosi peritoneale dopo resezione radicale e chemioterapia adiuvante. La strategia funziona?

Goere D, et al. Second-look surgery plus hyperthermic intraperitoneal chemotherapy versus surveillance in patients at high risk of developing colorectal peritoneal metastases (PROPHYLOCHIP-PRODIGE 15): a randomised, phase 3 study. Lancet Oncol 2020, epub Jul 24

Pensionato il dr. Paul Sugarbacker [Lancet Oncol 2012], si affacciano tempi difficili per l'HIPEC dopo che lo studio randomizzato Unicancer PRODIGE 7 ha sancito il fallimento della procedura in setting prospettico randomizzato [dati presentati ad ASCO 2018, nessuna differenza nel tasso di sopravvivenza a 24, 36 e 48 mesi].

Nonostante questo, rimaneva poco chiaro se una precoce aplixazione del protocollo di chirurgia interventistica acccoppiata alla chemioterapia intraperitoneale potesse portare qualche vantaggio a pazienti con adenocarcinoma del colon e alto rischio di sviluppare carcinosi peritoneale, che è quasi sempre asintomatica nella fase iniziale.

In questo contesto lo studio randomizzato di fase III francese - condotto in 23 presidi ospedalieri - dopo la completa resezione chirurgica ha arruolato pazienti con carcinoma colorettale e metastasi sincrone localizzate in sede peritoneale/ovarica ovvero pazienti esorditi con perforazione intestinale a ricevere chemioterapia adiuvante con fluoropirimidina e oxaliplatino per sei mesi senza evidenza di malattia al termine del percorso terapeutico. I pazienti erano randomizzati a sola sorveglianza vs second look chirurgico e HIPEC. Nel braccio sperimentale la HIPEC poteva prevedere bagno chemioterapico con oxaliplatino o mitomicina-C.

Endpoint primario dello studio era la DFS/RFS a tre anni; fattori di stratificazione erano il centro, lo stato linfonodale e il fattore che creava il rischio di disseminazione peritoneale.

Era anche valutato il Peritoneal Cancer Index [PCI], che può variare tra 0 e 39, ma predice miglior outcome clinico quando si situa nella categoria inferiore, compresa tra 0 e 9.

Durante un quinquennio - arruolamento protratto dal 2010 al 2015 - 150 pazienti sono stati randomizzati nel trial, con una età mediana inferiore ai 60 anni.

Il Peritoenal Cancer Index [PCI] era di 0-9 nei due terzi dei pazienti operati.

La DFS a tre anni è stata del 53% nel braccio di sorveglianza vs 44% in quello di trattamento con second look chirurgico e HIPEC [HR 0.97, 95%CI 0.61-1.56].

Sebbene non siano stati riportate morti realte al trattamento, il 40% dei pazienti assegnati al braccio sperimentale riportava effetti colaterali di grado maggiore, in più frequenti tra i quali erano emorragie o difetti della anastomosi intraaddominale ovvero tossicità midollare.

Con i limiti di uno studio open con numerosità limitata e che manca di dati di biologia molecolare, il messaggio del trial é chiaro: il ruolo dell'HIPEC è minimo e non impatta sulla DFS nemmeno nei pazienti ad alto rischio di sviluppare carcinosi peritoneale.

Il dato va interpretato assieme a quello dello studio PRODIGE 17 che rimarca l'assenza di beneficio dell'HIPEC nella chirurgia peritoneale di salvataggio, come ricorda Moran in uno spietato editoriale di accompagnamento. Meglio quindi affidarsi all'esperienza di una chirurgia ottimale in prima battuta o a mani esperte nel caso di recidiva peritoneale limitata, ma evitando il rischio di inutili complicazioni con trattamenti di chemioterapia intraoperatoria molto poco evidence-based.