Patologia genito-urinaria
Sabato, 01 Giugno 2019

ASCO19, tumore della prostata ormonosensibile: la lista dei “pretendenti” si allunga?

A cura di Massimo Di Maio

Con lo studio TITAN, presentato all’ASCO 2019 e pubblicato dal NEJM, apalutamide si aggiunge all’elenco dei trattamenti efficaci nel setting del tumore della prostata metastatico ormono-sensibile.

Kim N. Chi, M.D., Neeraj Agarwal, M.D., Anders Bjartell, M.D., Byung Ha Chung, M.D., Andrea J. Pereira de Santana Gomes, M.D., Robert Given, M.D., Álvaro Juárez Soto, M.D., Axel S. Merseburger, M.D., Mustafa Özgüroğlu, M.D., Hirotsugu Uemura, M.D., Dingwei Ye, M.D., Kris Deprince, M.D., Vahid Naini, Pharm.D., Jinhui Li, Ph.D., Shinta Cheng, M.D., Margaret K. Yu, M.D., Ke Zhang, Ph.D., Julie S. Larsen, Pharm.D., Sharon McCarthy, B.Pharm., and Simon Chowdhury, M.D.et al., for the TITAN Investigators. Apalutamide for Metastatic, Castration-Sensitive Prostate Cancer N Engl J Med May 31, 2019. DOI: 10.1056/NEJMoa1903307

Negli ultimi anni, più di un farmaco ha prodotto risultati positive quando aggiunto alla terapia di deprivazione androgenica nei pazienti con tumore della prostata ormono-sensibile, metastatico. La sequenza di risultati positivi è stata aperta dalla chemioterapia con docetaxel, seguito da vari farmaci ormonali di nuova generazione, come l’abiraterone e l’enzalutamide.

Apalutamide è un farmaco ormonale di nuova generazione, che ha già prodotto importanti risultati nel setting dei pazienti con malattia resistente alla castrazione, senza evidenza di metastasi.

Presentato il 31 maggio all’ASCO, e pubblicato contestualmente sulle pagine del New England Journal of Medicine, lo studio TITAN è uno studio randomizzato di fase III, in doppio cieco, che includeva pazienti con tumore della prostata metastatico, ormono-sensibile. Erano eleggibili pazienti che avessero ricevuto precedenti trattamenti locali, e pazienti che avessero ricevuto chemioterapia con docetaxel.

I pazienti assegnati al braccio sperimentale ricevevano terapia di deprivazione androgenica + apalutamide, alla dose di 240 mg al giorno.

I pazienti assegnati al braccio di controllo ricevevano terapia di deprivazione androgenica + placebo.

Endpoint primari dello studio erano:

  • la sopravvivenza libera da progressione radiografica (radiographic progression–free survival, rPFS);
  • la sopravvivenza globale (overall survival, OS).

Lo studio prevedeva la conduzione di un’analisi ad interim, i cui risultati sono stati oggetto della presentazione a Chicago e della pubblicazione sul New England Journal of Medicine.

Complessivamente, sono stati randomizzati 525 pazienti al braccio sperimentale e 527 pazienti al braccio di controllo, per un totale di 1052 pazienti.

L’età mediana era pari a 68 anni, e il 16.4% dei pazienti era stato sottoposto a trattamenti locali (chirurgia o radioterapia sul tumore primitive), mentre poco più del 10% aveva ricevuto precedente terapia con docetaxel. Il 62.7% dei pazienti aveva malattia ad elevato volume (high-volume), e il rimanente 37.3% aveva malattia a basso volume.

Alla prima analisi ad interim, dopo un follow-up mediano pari a 22.7 mesi, l’analisi di rPFS favorisce il braccio sperimentale: la proporzione di pazienti liberi da progressione radiografica era pari al 68.2% nel braccio assegnato ad apalutamide e 47.5% nel braccio assegnato al placebo (hazard ratio 0.48, intervallo di confidenza al 95% 0.39 – 0.69, p<0.001).

L’analisi di sopravvivenza globale, analogamente, ha evidenziato un vantaggio a favore del braccio sperimentale (probabilità di essere vivi a 2 anni pari a 82.4% nel braccio assegnato ad apalutamide e 73.5% nel braccio assegnato a placebo), con hazard ratio 0.67, intervallo di confidenza al 95% 0.51 – 0.89, p=0.005).

La frequenza di eventi avversi di grado 3 o 4 è risultata simile nei 2 bracci, rispettivamente 42.2% dei pazienti assegnati al braccio sperimentale (caratterizzato da una maggiore frequenza di rash cutaneo), e 40.8% dei pazienti assegnati al braccio di controllo.

Il risultato dello studio TITAN aggiunge un altro farmaco alla lista dei trattamenti che hanno dimostrato beneficio nel setting ormono-sensibile, e rappresenta un’altra tappa del rapido processo di anticipazione terapeutica che sta caratterizzando la sperimentazione clinica nel tumore della prostata, e che nel prossimo futuro potrebbe caratterizzare la pratica clinica.

L’analisi ad interim era pianificata e i risultati presentati corrispondono a un follow-up leggermente inferiore ai 2 anni. Sarà interessante aspettare l’aggiornamento del follow-up, in quanto sull’analisi ad interim hanno inevitabilmente pesato gli eventi più precoci, e l’accumulo degli eventi nel tempo potrebbe modificare la quantificazione del beneficio sia assoluto che relativo del trattamento.

In generale, l’anticipazione terapeutica, comportando un trattamento più precoce e più prolungato, impone un’attenta considerazione del rapporto tra benefici e rischi del trattamento, vale a dire tra efficacia in termini di controllo di malattia e danni in termini di eventi avversi.

E’ particolarmente importante che, comportando il protrarsi della terapia potenzialmente per anni, il trattamento ormonale sia ben tollerato, non solo in termini di eventi avversi severi (da questo punto di vista, il risultato dello studio TITAN è confortante), ma anche in termini di tossicità di grado lieve (che protraendosi per molto tempo possono comportare un impatto tutt’altro che trascurabile sulla qualità di vita) e in termini di eventi rari ma potenzialmente severi per il paziente.

Con i risultati presentati a Chicago e pubblicati sul NEJM, abbiamo l’ennesima dimostrazione che, nonostante il setting comporti un’aspettativa di vita mediana non breve e la concreta possibilità di fare trattamenti successivi al momento della progressione di malattia, un impatto positivo sul controllo di malattia può tradursi in un vantaggio significativo in termini di sopravvivenza globale. Naturalmente, è importante confrontarsi, sia nell’interpretazione dello studio che nella successiva potenziale applicazione nella pratica clinica, sulle implicazioni di tali risultati in termini di sequenza terapeutica al momento della diagnosi di malattia resistente alla castrazione.