Patologia genito-urinaria
Sabato, 15 Giugno 2019

Chemioterapia prima della chirurgia del tumore della vescica: se il tumore si riduce, la sopravvivenza migliora.

A cura di Massimo Di Maio

La chemioterapia pre-operatoria è uno standard nel tumore della vescica, in quanto comporta un miglioramento della sopravvivenza. La prognosi migliora non solo quando il trattamento provoca la risposta patologica completa, ma anche quando le dimensioni del tumore si riducono.

Martini A, Jia R, Ferket BS, Waingankar N, Plimack ER, Crabb SJ, Harshman LC, Yu EY, Powles T, Rosenberg JE, Pal SK, Vaishampayan UN, Necchi A, Wiklund NP, Mehrazin R, Mazumdar M, Sfakianos JP, Galsky MD. Tumor downstaging as an intermediate endpoint to assess the activity of neoadjuvant systemic therapy in patients with muscle-invasive bladder cancer. Cancer. 2019 May 31. doi: 10.1002/cncr.32169. [Epub ahead of print] PubMed PMID: 31150110.

In accordo alle linee guida internazionali, i pazienti candidati a intervento di cistectomia in seguito a diagnosi di un tumore della vescica infiltrante la parete muscolare andrebbero valutati per la chemioterapia pre-operatoria, che ha dimostrato, nell’ambito di studi randomizzati di confronto con la sola chirurgia, un prolungamento della sopravvivenza.

Al pari di quanto osservato in altre neoplasie, è chiaro che i pazienti che ottengano una risposta patologica completa (pathologic complete response, pCR) con il trattamento neoadiuvante, vale a dire una completa scomparsa delle cellule tumorali all’esame istologico del tessuto operatorio, hanno una prognosi migliore. Il beneficio del trattamento neoadiuvante è quindi limitato a chi ottiene una risposta patologica completa? Oppure anche una risposta più limitata (corrispondente non alla scomparsa completa ma alla riduzione delle dimensioni della neoplasia) comporta una prognosi migliore rispetto a chi non ottiene tale riduzione?

Per rispondere a questo interessante quesito, gli autori della recente pubblicazione di Cancer hanno valutato una numerosa casistica di pazienti affetti da neoplasia vescicale muscolo-invasiva, sottoposti a chemioterapia neoadiuvante, allo scopo di descrivere l’associazione tra l’eventuale downstaging patologico e la prognosi.
Il downstaging patologico era definito come una riduzione del T (estensione del T inferiore rispetto al T valutato clinicamente e strumentalmente prima dell’intervento chirurgico:

  • T0: non evidenza di malattia;
  • Tis: carcinoma in situ;
  • Ta: tumore non infiltrante la tonaca sottomucosa;
  • T1: tumore infiltrante la tonaca sottomucosa;
  • T2: tumore infiltrante la parete muscolare;
  • T3: tumore infiltrante il grasso perivescicale;
  • T4: tumore infiltrante gli organi vicini.

Ai fini dell’analisi, pTis e pTa sono stati raggruppati in un’unica categoria, distinti da pT1, quindi era possibile ottenere un massimo di 5 “scalini” di downstaging (per un paziente che partisse da cT4 e avesse ottenuto pT0).

L’analisi è stata condotta sui dati di due database: il “Retrospective International Study of Cancers of the Urothelial Tract” (RISC) e il “National Cancer Database (NCDB)”, e da tali database sono stati selezionati i dati dei pazienti con tumore della vescica cT2 oppure cT3 oppure cT4 , senza evidenza di interessamento linfonodale e senza metastasi a distanza, trattati con chemioterapia neoadiuvante.

Endpoint primario dell’analisi era la sopravvivenza globale (overall survival, OS).
L’impatto prognostico del downstaging è stato valutato in un’analisi multivariata, che includeva sia il downstaging patologico sia l’eventuale presenza di risposta completa. L’analisi mirava a valutare il valore prognostico indipendente dell’eventuale downstaging in assenza di risposta patologica completa.
Il modello è stato validato sui dati del National Cancer Database.

Complessivamente, sono stati inclusi nell’analisi 189 pazienti del database RISC e 2010 pazienti del database NCDB, tutti – come detto – sottoposti a chemioterapia neoadiuvante.

Un downstaging patologico è stato ottenuto nel 33% dei pazienti del database RISC e nel 35% dei pazienti del database NCDB.

Una risposta patologica completa è stata ottenuta nel 20% dei pazienti del database RISC e nel 15% dei pazienti del database NCDB.

In entrambi i database, sia l’ottenimento di un downstaging che l’ottenimento di una risposta patologica completa sono risultati associati a una migliore sopravvivenza globale.
Nel database RISC, la probabilità di essere vivi a distanza di 5 anni era pari al 73% per i pazienti che avessero ottenuto un downstaging patologico, e pari al 93% per i pazienti che avessero ottenuto una risposta patologica completa.

All’analisi multivariata, sia l’ottenimento di una risposta patologica completa (Hazard Ratio 0.19, intervallo di confidenza al 95% 0.08 – 0.44, p<0.001), che il downstaging patologico (Hazard Ratio 0.11, intervallo di confidenza 0.03 – 0.47, p=0.003) sono risultati associati a una migliore sopravvivenza globale.

L’inclusione del downstaging patologico nel modello consente di ottenere una migliore predizione dell’aspettativa di vita rispetto alla sola inclusione della risposta patologica completa.
Dividendo i pazienti in 3 categorie mutuamente esclusive (non risposta; downstaging ma non risposta patologica completa; risposta patologica completa), gli autori hanno stimato la riduzione del rischio associata al downstaging in assenza di risposta patologica completa (Hazard Ratio rispetto ai pazienti che non avessero ottenuto alcuna risposta 0.35, intervallo di confidenza al 95% 0.13 – 0.93, p<0.035) e la riduzione del rischio associata a risposta patologica completa (Hazard Ratio rispetto ai pazienti che non avessero ottenuto alcuna risposta 0.09, intervallo di confidenza al 95% 0.02 – 0.38, p<0.001).

L’entità del downstaging (1 solo “scalino”, ad esempio da cT4 a pT3, oppure 2 scalini, ad esempio da cT4 a pT2, oppure 3 o più scalini, ad esempio da cT4 a pT1) è significativamente associata alla prognosi, con un’aspettativa di vita progressivamente migliore all’aumentare della “profondità” del downstaging.

Sulla base dei suddetti risultati, gli autori sottolineano che la diminuzione di almeno 1 stadio nel confronto tra il cT stimato prima della chirurgia e il pT definitivo è associata a una migliore sopravvivenza globale nei pazienti sottoposti a chemioterapia neoadiuvante per carcinoma della vescica muscolo-infiltrante.

L’informazione è importante dal punto di vista prognostico, ma gli autori sottolineano anche la potenziale utilità per il disegno di future sperimentazioni cliniche nel setting neoadiuvante.

L’analisi è retrospettiva e quindi soffre di alcuni limiti. Per alcuni dei pazienti, ad esempio, non era disponibile l’informazione dettagliata sul tipo di chemioterapia impiegata. La tipologia di analisi, inoltre, come riconosciuto dagli autori stessi in discussione, non consente una formale validazione del downstaging patologico come endpoint surrogato di sopravvivenza globale. Il risultato ha però il pregio di evidenziare che il beneficio della chemioterapia neoadiuvante non appare limitato alla minoranza di pazienti che ottengano una risposta patologica completa.

Ad oggi, nonostante l’evidenza forte basata su studi randomizzati e l’inclusione nelle principali linee guida nazionali ed internazionali, la chemioterapia neoadiuvante rimane sotto-impiegata rispetto al potenziale numero di pazienti eleggibili. La discussione multidisciplinare di tutti i casi alla diagnosi dovrebbe ragionevolmente incrementare il numero di trattamenti neoadiuvanti.

Le linee guida AIOM (edizione 2018) raccomandano che, nei pazienti con malattia infiltrante (cT2-T4 N0 M0), ECOG performance status 0 oppure 1, clearance della creatinina superiore a 60 mg/ml/min e assenza di comorbidità che controindichino un trattamento chemioterapico, andrebbe preso in considerazione in prima intenzione un trattamento polichemioterapico contenente cisplatino ( qualità dell’evidenza A, raccomandazione positiva forte).