Patologia genito-urinaria
Lunedì, 13 Novembre 2023

Gli inibitori di FGFR per il tumore della vescica sono tutti uguali? Probabilmente no...

A cura di Massimo Di Maio

Sono stati pubblicati su Annals of Oncology i risultati finali dello studio FIGHT-201, che testava l’inibitore di FGFR pemigatinib. Lo studio conferma l’attività in termini di risposte obiettive, ma i risultati sono inferiori rispetto a quanto ottenuto con erdafitinib. Insomma, il target si conferma rilevante ma i farmaci non sono tutti uguali…

A. Necchi, MD, D. Pouessel, MD, PhD, R. Leibowitz, MD, PhD, S. Gupta, MD, A. Fléchon, MD, PhD, J. García-Donas, MD, PhD, M.A. Bilen, MD, P.R. Debruyne, MD, PhD, M.I. Milowsky, MD, T. Friedlander, MD, M. Maio, MD, A. Gilmartin X. Li, PhD, M.L. Veronese, MD, Y. Loriot, MD, PhD. Pemigatinib for Metastatic or Surgically Unresectable Urothelial Carcinoma With FGF/FGFR Genomic Alterations: Final Results From FIGHT-201. Published: November 11, 2023 DOI:https://doi.org/10.1016/j.annonc.2023.10.794

Le alterazioni molecolari del Fibroblast Growth Factor Receptor 3 (FGFR3) sono considerate driver oncogenici nei pazienti con carcinoma uroteliale avanzato. Negli ultimi anni, vari farmaci sono stati sviluppati e sperimentati in tale setting, tra i quali il pemigatinib, inibitore orale selettivo di FGFR1–3.

Lo studio FIGHT-201 era uno studio di fase 2, in aperto, che valutava l’efficacia e la sicurezza di pemigatinib in pazienti con carcinoma uroteliale precedentemente sottoposto a trattamento.

Lo studio prevedeva l’inclusione di pazienti adulti, con alterazioni molecolari di FGFR3 (includendo sia le mutazioni che le fusioni / riarrangiamenti), e questi pazienti erano inseriti nella coorte A dello studio. Era anche prevista una coorte B, che includeva casi con altre alterazioni di FGF / FGFR, diverse da quelle di FGFR3.

I pazienti ricevevano il pemigatinib, alla dose quotidiana di 13.5 mg in unica somministrazione giornaliera, ed era prevista una parte della coorte A che riceveva la schedula continua ed una seconda parte della coorte A che riceveva una schedula intermittente (2 settimane di trattamento seguite da 1 settimana di pausa), fino a progressione o tossicità inaccettabile.

Endpoint primario dello studio era la proporzione di risposte obiettive, per le quali era prevista una revisione centralizzata, sulla base dei criteri RECIST 1.1, nella coorte A di pazienti che riceveva la dose continua di pemigatinib.

Endpoint secondari dello studio erano la proporzione di risposte obiettive nei pazienti della coorte A che ricevevano la dose intermittente e nei pazienti della coorte B, nonché la durata della risposta, la sopravvivenza libera da progressione, la sopravvivenza globale e la tossicità del trattamento.

Il dimensionamento dello studio era basato su un’ipotesi di attività del pemigatinib nel 35% dei pazienti.

Nel complesso, lo studio ha visto il trattamento di 260 pazienti (nel dettaglio, 101 pazienti nella coorte A trattata con dose continua, 103 pazienti nella coorte A trattata con dose intermittente e 44 pazienti nella coorte B; ulteriori 12 pazienti sono stati esclusi dalle precedenti coorti in quanto l’analisi non aveva confermato la presenza di alterazioni di FGF/FGFR).

Al momento dell’analisi, tutti i pazienti avevano interrotto il trattamento sperimentale, nella maggior parte dei casi per progressione di malattia.
La proporzione di risposte obiettive è risultata pari al 17.8% (intervallo di confidenza al 95% 10.9 – 26.7%) nella coorte di pazienti con alterazioni molecolari di FGFR3, trattati con dose continua, e pari al 23.3% (intervallo di confidenza al 95% 15.5 – 32.7%) nella coorte di pazienti con alterazioni molecolari di FGFR3 trattati con dose intermittente.

L’analisi di sottogruppo dei 107 pazienti con la mutazione più frequente di FGFR3 (S249C) ha evidenziato una proporzione di risposte obiettive simili con le due schedule di farmaco (23.9% con la dose continua e 24.6% con la dose intermittente).

La durata della risposta mediana è risultata pari a 6.2 mesi in entrambe le coorti, la PFS è risultata pari a 4.0 mesi con la dose continua e 4.3 mesi con la dose intermittente, la sopravvivenza globale mediana è risultata pari a 6.8 mesi con la dose continua e 8.9 mesi con la dose intermittente.

Nella coorte B (altre alterazioni di FGF/FGFR) i risultati di attività sono stati nel complesso modesti, con una proporzione di risposte obiettive pari al 6.8%.

Su 36 pazienti per i quali erano disponibili i campioni di tessuto al momento della progressione, in 6 casi sono state identificate mutazioni di resistenza secondaria del gene FGFR3.

Gli eventi avversi più comunemente riportati durante il trattamento con pemigatinib sono stati la diarrea (nel 44.6% dei pazienti), la stomatite (42.7% dei pazienti), l’alopecia (42.7% dei pazienti), l’iperfosfatemia (42.7% dei pazienti).

Sulla base dei risultati sopra sintetizzati, gli autori concludono che pemigatinib si conferma associato a una tossicità accettabile e dimostra un certo grado di attività clinica in pazienti con carcinoma uroteliale avanzato, già sottoposti a precedenti trattamenti, in presenza di mutazioni o fusioni / riarrangiamenti di FGFR3.

Peraltro, la proporzione di risposte obiettive osservate nello studio è risultata inferiore a quella che era stata ipotizzata nel protocollo come clinicamente rilevante (35%), ed anche molto inferiore ai risultati ottenuti con l’erdafitinib (con il quale le percentuali di risposta obiettiva nello studio THOR sono risultate superiori al 40%).

Con tutti i limiti dei confronti indiretti tra studi, quindi, i dati dello studio FIGHT-201 sembrano evidenziare che non tutti gli inibitori di FGFR sono uguali tra loro.

Naturalmente, questi risultati non negano l’importanza della caratterizzazione molecolare in questo setting e il ruolo di FGFR come target terapeutico.