Patologia genito-urinaria
Sabato, 16 Maggio 2020

Immunoterapia insieme alla chemioterapia nel tumore della vescica? La risposta non c’è ancora.

A cura di Massimo Di Maio

Tutta la comunità scientifica ripone grandi attese nella combinazione di chemioterapia e immunoterapia anche nel tumore della vescica. Sono ora pubblicati i risultati del primo di vari studi, con segnali di attività, ma probabilmente più dubbi che certezze.

Matthew D Galsky, José Ángel Arranz Arija, Aristotelis Bamias, Ian D Davis, Maria De Santis, Eiji Kikuchi, Xavier Garcia-del-Muro, Ugo De Giorgi, Marina Mencinger, Kouji Izumi, Stefano Panni, Mahmut Gumus, Mustafa Özgüroğlu, Arash Rezazadeh Kalebasty, Se Hoon Park, Boris Alekseev, Fabio A Schutz, Jian-Ri Li, Dingwei Ye, Nicholas J Vogelzang, Sandrine Bernhard, Darren Tayama, Sanjeev Mariathasan, Almut Mecke, AnnChristine Thåström, Enrique Grande. Atezolizumab with or without chemotherapy in metastatic urothelial cancer (IMvigor130): a multicentre, randomised, placebo-controlled phase 3 trial. The Lancet, Volume 395, Issue 10236, 16–22 May 2020, Pages 1547-1557

 

L’attuale standard di trattamento per i pazienti candidati a ricevere una terapia di prima linea per un tumore uroteliale avanzato / metastatico è rappresentato dalla chemioterapia contenente cisplatino, anche se molti pazienti presentano controindicazioni all’impiego del cisplatino.

Negli ultimi anni, l’immunoterapia, in particolare l’impiego dei farmaci immune checkpoint inhibitors, ha prodotto importanti risultati nei pazienti con tumore dell’urotelio avanzato. Un farmaco anti-PD1, il pembrolizumab, è attualmente impiegato, come agente singolo, nella pratica clinica in pazienti che abbiano fallito un precedente trattamento con platino. Numerose evidenze di attività sono state prodotte anche con altri farmaci anti-PD1 e anti-PDL1. Tutti questi farmaci hanno dimostrato la possibilità di produrre controllo di malattia a volte anche molto duraturo, ma purtroppo in una minoranza dei pazienti, e la difficoltà della corretta selezione dei pazienti rimane un problema.

Nel tumore del polmone, la combinazione di chemioterapia e immunoterapia è stata già ampiamente studiata, ed è recentemente diventata pratica clinica. Alla stessa maniera, sono stati disegnati numerosi studi allo scopo di verificare l’efficacia dell’aggiunta dell’immunoterapia alla chemioterapia anche nel tumore uroteliale.

IMvigor130 è uno studio randomizzato di fase III, che ha confrontato il farmaco anti-PDL1 atezolizumab, in combinazione alla chemioterapia a base di platino o come agente singolo, rispetto alla chemioterapia standard da sola, in pazienti candidati a ricevere trattamento di prima linea per un carcinoma uroteliale metastatico.

Per essere eleggibili, i pazienti dovevano essere eleggibili a trattamento chemioterapico con platino. In realtà, lo studio era inizialmente disegnato per il solo confronto combinazione chemio + atezolizumab vs. chemio in pazienti ineleggibili al cisplatino, poi è stato emendato con l’inclusione di tutti i pazienti candidati a chemioterapia con platino (anche quelli eleggibili al cisplatino) e aggiungendo un braccio di immunoterapia come agente singolo. 

Lo studio prevedeva la randomizzazione a 1 di 3 bracci di trattamento:

  • braccio A: atezolizumab (dose fissa di 1200 mg ev ogni 21 giorni) + chemioterapia a base di platino (gemcitabina 1000 mg/mq giorni 1 e 8 + carboplatino AUC 4.5 mg/mL/min o cisplatino 70 mg/mq al giorno 1 ogni 21 giorni) ;
  • braccio B: atezolizumab (dose fissa di 1200 mg ev ogni 21 giorni);
  • braccio C: placebo + chemioterapia a base di platino (gemcitabina 1000 mg/mq giorni 1 e 8 + carboplatino AUC 4.5 mg/mL/min o cisplatino 70 mg/mq al giorno 1 ogni 21 giorni) .

Endpoint co-primari erano:

  • La sopravvivenza libera da progressione (progression-free survival, PFS) per il confronto A vs C;
  • La sopravvivenza globale (overall survival, OS), per il confronto A vs C;
  • La sopravvivenza globale per il confronto B vs C, subordinata alla positività del confronto in sopravvivenza globale di A vs C (in caso di superiorità significativa della combinazione rispetto alla chemioterapia da sola, il protocollo prevedeva che venisse testata anche la superiorità dell’atezolizumab da solo rispetto alla chemioterapia).

Lo studio ha visto la randomizzazione di 1213 pazienti complessivi, dei quali 451 (37%) assegnati al braccio A (combinazione), 362 (30%) assegnati al braccio B (atezolizumab agente singolo), e 400 (33%) assegnati al braccio C (chemioterapia standard). La numerosità asimmetrica tra i 3 bracci è dovuta all’iniziale rapporto di randomizzazione 2:1 tra braccio A e braccio C e al successivo emendamento descritto nei Metodi. Per giunta, in corso di studio il braccio di agente singolo è stato emendato per consentire l’inclusione dei soli pazienti con elevata espressione di PDL1.

Poco più della metà dei pazienti, in tutti i bracci, era ineleggibile al cisplatino. Una percentuale non trascurabile (40%) dei pazienti eleggibili al cisplatino ha però ricevuto carboplatino, per decisione degli sperimentatori. 

Dopo un follow-up mediano di circa 1 anno, la sopravvivenza libera da progressione mediana è risultata pari a 8.2 mesi nel braccio di combinazione vs. 6.3 mesi nel braccio standard (delta 1.9 mesi) (Hazard Ratio 0.82, intervallo di confidenza al 95% 0.70–0.96; p a una coda 0.007, differenza significativa).

La sopravvivenza mediana è risultata pari a 16.0 mesi nel braccio di combinazione vs. 13.4 mesi nel braccio standard (hazard ratio 0.83, intervallo di confidenza al 95% 0.69–1.00; p a una coda 0.027, differenza NON significativa).

La sopravvivenza mediana è risultata pari a 15.7 mesi nel braccio di immunoterapia agente singolo vs. 13.1 mesi nel braccio standard (hazard ratio 1.02, intervallo di confidenza al 95% 0.83 – 1.24). Analisi di sottogruppo suggeriscono una maggiore efficacia dell’immunoterapia rispetto al braccio standard nel sottogruppo di pazienti con elevata espressione di PDL1

Per quanto riguarda la tollerabilità del trattamento, la percentuale di pazienti che hanno interrotto in parte o del tutto il trattamento per eventi avversi è stata simile nel braccio di combinazione (34%) e nel braccio di chemioterapia standard (34%) e minore nel braccio di immunoterapia agente singolo (6%). La percentuale di pazienti che hanno interrotto il trattamento immunoterapico (atezolizumab / placebo) per eventi avversi è stata pari all’11% nel braccio di combinazione, al 6% nel braccio di agente singolo e 7% nel braccio di chemioterapia.

Sulla base dei risultati riassunti sopra, gli autori concludono che l’aggiunta dell’atezolizumab alla chemioterapia a base di platino come trattamento di prima linea è risultata associata a un significativo prolungamento della sopravvivenza libera da progressione dei pazienti con carcinoma uroteliale avanzato, con un profilo di tollerabilità coerente con l’atteso.

Tali risultati - continuano gli autori -  supportano l’uso dell’atezolizumab in combinazione con la chemioterapia come possibile opzione di prima linea in questo setting.

Gli studi randomizzati di fase III avrebbero, in teoria, il pregio di produrre evidenze solide grazie a un disegno semplice e a endpoint importanti di beneficio per il paziente. Purtroppo, non è sempre così: analisi ad interim, endpoint co-primari, emendamenti in corso di studio (tutti tecnicamente corretti, per carità) rendono la lettura dello studio complessa e ostica.

Nell’era dell’immunoterapia, la comprensibile volontà di ottimizzare la selezione dei pazienti sulla base di fattori predittivi, insieme con la comprensibile volontà dei promotori delle sperimentazioni di rendere quanto più rapida possibile la produzione delle evidenze, ha portato recentemente (ad esempio anche nel tumore del polmone) alla conduzione di alcuni studi in cui gli emendamenti hanno a volte stravolto il disegno stesso dello studio.

Una considerazione simile si applica anche allo studio IMvigor130: nato per i pazienti non eleggibili al cisplatino e poi esteso a tutti i pazienti eleggibili al platino; nato a 2 bracci e poi trasformato a 3 bracci, con un terzo braccio aggiunto per valutare l’efficacia dell’immunoterapia da sola; questo terzo braccio era nato per testarla in tutti i pazienti e poi limitato ai soli pazienti con espressione elevata di PDL1.

Al netto di queste considerazioni, lo studio ci consegna l’evidenza (in una popolazione di pazienti che probabilmente ha ricevuto meno cisplatino di quanto sarebbe stato possibile) di un piccolo vantaggio in sopravvivenza libera da progressione, senza dimostrazione di benefici significativi in sopravvivenza globale.

Nel complesso, ad avviso di chi scrive, le conclusioni degli autori, che prospettano la combinazione sperimentale come opzione per la pratica clinica, non sono pienamente supportate dai risultati maturati finora.