Patologia genito-urinaria
Sabato, 02 Novembre 2019

Tumore della prostata e terapia ormonale: ricordiamo l’importanza dell’esercizio fisico!

A cura di Massimo Di Maio

Uno studio randomizzato ribadisce l’utilità dell’esercizio fisico in chi inizia una terapia ormonale per tumore della prostata, con significativi benefici nella performance fisica, nel controllo della fatigue e nella qualità di vita.

Ndjavera W, Orange ST, O'Doherty AF, Leicht AS, Rochester M, Mills R, Saxton JM. Exercise-induced attenuation of treatment side-effects in newly diagnosed prostate cancer patients beginning androgen deprivation therapy: a randomized controlled trial. BJU Int. 2019 Oct 12. doi: 10.1111/bju.14922. [Epub ahead of print] PubMed PMID: 31605663.

La terapia di deprivazione androgenica è un pilastro del trattamento dei pazienti affetti da carcinoma della prostata quando lo stadio di malattia impone l’inizio di una terapia sistemica. Nel complesso, la terapia ormonale è considerata ben tollerata, ma è ben noto che il suo impiego si associa a tossicità non trascurabili. In particolare, è noto l’effetto sulla riduzione della massa muscolare, la possibile comparsa di fatigue (vale a dire quella sensazione di stanchezza e spossatezza sproporzionata rispetto all’esercizio fisico effettivamente compiuto, e che non migliora con il riposo), le possibili ripercussioni metaboliche negative con impatto sul profilo di rischio cardio-vascolare e il possibile impatto negativo sulla qualità di vita complessiva.

Numerosi studi, anche randomizzati, hanno esplorato l’efficacia dell’esercizio fisico in questo setting di pazienti. Peraltro, la gran parte degli studi prevedevano l’inclusione di pazienti già in trattamento ormonale, in molti dei quali le conseguenze negative della terapia si erano in parte già manifestate.

Meno studiato è l’impatto dell’esercizio fisico iniziato già al momento dell’inizio della terapia ormonale. Un precedente studio randomizzato (Cormie P, et al. Can supervised exercise prevent treatment toxicity in patients with prostate cancer initiating androgen-deprivation therapy: a randomised controlled trial. BJU Int. 2015 Feb;115(2):256-66.) ha evidenziato i possibili benefici associati all’esercizio fisico nei pazienti che iniziano una terapia ormonale, ma in quel caso l’osservazione era limitata a 3 mesi. Sarebbe molto interessante descrivere l’effetto non solo immediato ma anche prolungato nel tempo.

Obiettivi dello studio randomizzato recentemente pubblicato su BJU International erano quelli di:

  • valutare se un programma di esercizio supervisionato sia in grado di ridurre le tossicità associate al trattamento ormonale in pazienti che iniziano una terapia di deprivazione androgenica;

  • esaminare se i miglioramenti indotti dall’esercizio nel breve termine si mantengono anche dopo la fine del periodo di esercizio supervisionato.

50 pazienti affetti da carcinoma della prostata e candidati ad iniziare terapia ormonale (deprivazione androgenica, ADT), sono stati randomizzati al gruppo sperimentale o al gruppo di controllo.

I pazienti assegnati al gruppo sperimentale (n=24 pazienti) hanno praticato 3 mesi di esercizio aerobico seguito da esercizio di resistenza, seguiti da 3 mesi di esercizio auto-gestito.

  • L’esercizio dei primi 3 mesi era supervisionato da uno staff dedicato presso l’University of East Anglia, adiacente alla struttura ospedaliera dove erano seguiti i pazienti.

  • I pazienti eseguivano 2 sessioni di esercizio a settimana, ciascuna della durata di circa 60 minuti, per un periodo di 12 settimane dall’inizio della terapia ormonale.

  • L’esercizio aerobico prevedeva allenamento al ciclo-ergometro, seguito da esercizio di resistenza, con ripetizioni di esercizi pensati per sollecitare i 6 maggiori gruppi muscolari.

  • In aggiunta a queste sessioni condotte in presenza degli istruttori, i pazienti erano incoraggiati a incrementare il loro livello di attività fisica, in particolare dedicandosi 3 volte a settimana a 30 minuti di esercizio fisico autogestito.

  • Alla fine dei 3 mesi programmati, i pazienti ricevevano istruzioni per proseguire l’esercizio fisico in maniera autogestita.

I pazienti assegnati al gruppo di controllo (n=26 pazienti) non hanno partecipato a nessuna sessione organizzata di esercizio fisico e non hanno ricevuto alcuna istruzione specifica a proposito dell’esercizio fisico.

Endpoint primario dello studio, sul quale è stato eseguito il dimensionamento del campione, era la differenza nella massa grassa a 3 mesi.

Endpoint secondari comprendevano:

  • la valutazione della massa magra;
  • la valutazione della performance cardio-polmonare;
  • lo score di rischio QRISK2 (che misura il rischio di un evento cardiovascolare nei 10 anni successivi, e si basa su un calcolatore disponibile anche online: https://qrisk.org/2017 );
  • l’antropometria;
  • la valutazione della fatigue;
  • la valutazione della qualità di vita.

In particolare, sono stati impiegati i seguenti strumenti di misurazione dei patient-reported outcomes:

  • Functional Assessment of Cancer Therapy-Prostate (FACT-P), per misurare la qualità di vita;
  • Functional Assessment of Chronic Illness Therapy-Fatigue (FACIT-Fatigue) per misurare la fatigue;
  • Godin Leisure-Time Exercise Questionnaire (GodinQ) per misurare il livello di attività fisica

A 3 mesi dall’inizio dello studio, nel gruppo sperimentale si è osservata una significativa differenza rispetto al gruppo di controllo in termini di cambiamento in varie misure di performance cardio-polmonare:

  • peak oxygen uptake (1.9 ml.kg-1 .min-1 , p = 0.038);

  • ventilatory threshold (1.7 ml.kg-1 .min-1 , p = 0.013);

  • oxygen uptake efficiency slope (0.21, p = 0.005).

E’ stata inoltre documentata, sempre a 3 mesi dall’inizio dello studio, una differenza significativa, a favore del gruppo sperimentale, in termini di fatigue (4.5, p = 0.024).

Nel periodo successivo ai primi 3 mesi, in cui I pazienti assegnati al gruppo sperimentale interrompevano l’esercizio fisico supervisionato per proseguire esercizi in autonomia, le differenze nella performance cardio-polmonare e nella fatigue non sono state confermate, ma il gruppo sperimentale ha evidenziato:

  • una migliore qualità di vita (8.5, p = 0.034);

  • un ridotto score di rischio QRISK2 (-2.9%, p = 0.041).

Sulla base dei risultati sopra descritti, gli autori concludono che un programma a breve termine (3 mesi) di esercizio fisico supervisionato può ottenere, nei pazienti affetti da carcinoma della prostata e candidati a ricevere terapia ormonale, un significativo beneficio in termini di qualità di vita e di profilo di rischio cardio-vascolare.

Va sottolineato che lo studio era stato dimensionato e condotto puntando innanzitutto a dimostrare una riduzione della massa corporea grassa (questo era infatti l’endpoint primario dello studio), e tale obiettivo non è stato raggiunto. Peraltro, gli endpoint secondari dello studio riguardano aspetti molto importanti, in quanto la performance cardio-polmonare, la fatigue, la qualità di vita complessiva sono di grande interesse per la gestione complessiva di questi pazienti e per la loro percezione del rapporto tra benefici e rischi della terapia.

Gli autori sottolineano che un elevato numero di pazienti ai quali lo studio era stato proposto non hanno accettato di partecipare, non per controindicazioni fisiche, ma per difficoltà logistiche (mancanza di tempo o difficoltà di trasporti per frequentare le lezioni). Da questo punto di vista, ipotizzano che la proposta di un programma di esercizi più pragmatico (al domicilio invece che in palestra) potrebbe aumentare l’adesione.

In sintesi, nonostante le evidenze già esistenti in letteratura, probabilmente molti pazienti, al momento della prescrizione della terapia di deprivazione androgenica, non ricevono precise istruzioni sulla opportunità di incrementare l’esercizio fisico. Questo studio randomizzato è utile per ricordare a tutti noi questa opportunità.