Patologia genito-urinaria
Giovedì, 16 Aprile 2020

Carcinoma uroteliale dell'alta via escretrice: chemioterapia dopo la chirurgia è il nuovo standard

A cura di Giuseppe Aprile

Pubblicati in esteso i risultati dello studio randomizzato POUT, trial inglese che testa in setting prospettico e randomizzato l'efficacia della chemioterapia dopo l'intervento chirurgico per pazienti con carcinoma uroteliale delle alte vie escretrici.

Birtle A, et al. Adjuvant chemotherapy in upper tract urothelial carcinoma (the POUT trial): a phase 3, open-label, randomised controlled trial. Lancet 2020 Mar 5. pii: S0140-6736(20)30415-3

 

Si affronta il tema di una patologia rara e di non semplice inquadramento. In Italia si contano circa 2.000 nuovi casi per anno (1% dei casi incidenti), con una frequenza doppia nei maschi rispetto alle femmine, ma è impossibile inquadrare con certezza il dato di mortalità in quanto le schede di decesso non prevedono la distinzione tra patologia renale e delle alte vie escrretrici. Tra i fattori di rischio, oltre al fumo di sigaretta, vi sono le esposizioni professionali e le possibili cause genetiche (10% delle neoplasie uroteliali alte rientrano in una sindrome di Lynch).

Nel caso di presentazione locale o locoregionale - che avviene in oltre la metà dei casi - non vi è uno standard di trattamento in combinazione alla resezione chirurgica (nefroureterectomia) con finalità radicale. Infatti, l'effetto tanto della chemioterapia preoperatoria che di quella adiuvante rimane controverso e fondamentalmente ancorato a studi di piccola dimensione, spesso osservazionali o retrospettivi, che danno un'evidenza di basso livello. Peraltro, i dati provengono da casistiche selezionate, poichè in genere la terapia adiuvante è offerta a pazienti più giovani, in migliori condizioni generali e con un rischio di recidiva stimato essere più alto.

In questo lacunoso contesto si inseriscono i risultati dello studio inglese POUT - già presentato all'ASCO GU 2019 e ora pubblicati per esteso. Il trial randomizzato, condotto in 71 centri in UK, mirava a confrontare un trattamento chemioterapico con doppietta di gemcitabina e platino vs sola osservazione in pazienti sottoposti a chirurgia urlogica con finalità radicale per neoplasia uroteliale delle alte vie escretrici. La randomizzazione era 1:1; la chemioterapia somministrata per 4 cicli aveva inizio entro 90 giorni dall'atto chirurgico e prevedeva gemcitabina (1000 mg/mq gg 1, 8) in combinazione a cisplatino (70 mg/mq g 1) ovvero carboplatino (AUC 4.5-5). Nel trial erano arruolati pazienti con neoplasia stadiata come pT2-pT4 e M0 indipendentemente dalla presenza di linfonodi patologici ovvero pazienti con qualsiasi T se N1-3. Il follow-up programmato prevedeva un controllo endoscopico, di imaging e clinico; endpoint primario dello studio era la DFS in accordo all'assesment locale, definita come il tempo tra la randomizzazione e la la prima ricaduta locale, sistemica o la morte.

Tra gli endpoint secondari ricordiamo il tempo libero da metastasi, la sopravvivenza overall, la compliance al trattamento, la tossicità (acuta e tardiva) e la qualità di vita.

Tra il 2012 e il 2017 sono stati arruolati 261 pazienti da 57 centri (con una media inferiore a 1 paziente/anno per centro), testimoniando da un lato la rarità della patologia e dall'altro la difficoltà nella inclusione dei soggetti.

Dei pazienti inclusi, 129 sono stati assegnati al braccio di sorveglianza e 131 randomizzati a quello di chemioterapia sistemica. Tra i due bracci dello studio non vi erano differenze nel bilanciamento dei casi in termini di età, performance status, abitudine al fumo, tipo di chirurgia, estensione del coinvolgimento linfonodale, ma si riportava un numero numericamente maggiore di pT2 nel braccio sperimentale (34% vs 23%) e di pT4b in quello di osservazione (9% vs 3%).

Lo studio ha chiaramente raggiunto il suo endpoint primario dimostrando un netto vantaggio per la chemioterapia adiuvante.

In particolare, HR per DFS è stato pari a 0.45 (95%CI 0.30-0.68, p=0.0001) a un follow up mediano superiore ai 30 mesi, con una stima di event-free survival a 3 anni del 71% nel braccio sperimentale vs 46% per quello di sorveglianza; il vantaggio - presa visione degli HR e dei p value dei test di interazione - sembra confermato in tutte le categorie prognostiche prese in considerazione nella analisi multivariata.

 

I risultati dello studio dipanano dall'incerteza definendo, considerato l'importante vantaggio in disease-free survival, la chemioterapia adiuvante come un nuovo standard terapeutico per questa patologia.

Purtroppo, il dimensionamento campionario non consente di capire se vi siano differenze tra l'uso di cisplatino e carboplatino.

Nel frattempo, si attendono per l'autunno di quest'anno i risultati dello studio URANUS che confronta in setting randomizzato chemioterapia neoadiuvante vs adiuvante vs sola sorveglianza e quelli meno prossimi dello studio POUT2, che randomizza in adiuvante a chemioterapia (ora braccio standard) vs chemio-immunoterapia i pazienti resecati, sfruttando l'alta incidenza di instabilità microsatellitare in questa specifica popolazione.