Patologia genito-urinaria
Sabato, 11 Luglio 2020

L’importanza di identificare trattamenti più efficaci negli studi… e poterli poi usare nella pratica clinica.

A cura di Massimo Di Maio

Numerose analisi di sottogruppo hanno suggerito un’efficacia migliore per le combinazioni immunoterapiche rispetto al sunitinib nei tumori renali molto aggressivi, come i sarcomatoidi. Ma nessuna di tali combinazioni è attualmente disponibile nella pratica clinica…

Brian I. Rini, Robert J. Motzer, Thomas Powles, David F. McDermott, Bernard Escudier, Frede Donskov, Robert Hawkins, Sergio Bracarda, Jens Bedke, Ugo De Giorgi, Camillo Porta, Alain Ravaud, Francis Parnis, Enrique Grande, Wei Zhang, Mahrukh Huseni, Susheela Carroll, Roxana Sufan, Christina Schiff, Michael B. Atkins. Atezolizumab plus Bevacizumab Versus Sunitinib for Patients with Untreated Metastatic Renal Cell Carcinoma and Sarcomatoid Features: A Prespecified Subgroup Analysis of the IMmotion151 Clinical Trial. European Urology, July 9, 2020.

Tra i pazienti affetti da tumore del rene avanzato, i casi caratterizzati da caratteristiche sarcomatoidi hanno una prognosi particolarmente sfavorevole, e ottengono risultati insoddisfacenti con il trattamento standard.

Recentemente, un’analisi di sottogruppo dei casi sarcomatoidi inseriti nello studio randomizzato di confronto tra immunoterapia con la combinazione di nivolumab + ipilimumab e sunitinib ha suggerito un’efficacia migliore per l’immunoterapia rispetto al TKI (Journal of Clinical Oncology 2019 37:15_suppl, 4513-4513). Anche l’analisi di sottogruppo dei casi sarcomatoidi inseriti nello studio randomizzato di confronto tra la combinazione di axitinib e avelumab vs. sunitinib ha suggerito un’efficacia migliore per la combinazione sperimentale rispetto al sunitinib (Choueiri, ESMO 2019), e risultati simili sono stati osservati anche nell’analisi di sottogruppo dello studio di confronto tra pembrolizumab e axitinib vs sunitinib (Rini, ASCO 2019).

Lo studio randomizzato IMmotion151 è stato condotto in pazienti affetti da tumore renale avanzato / metastatico, candidati a ricevere trattamento di prima linea.

I pazienti assegnati al braccio di controllo ricevevano sunitinib alla dose quotidiana di 50 mg, in cicli della durata di 4 settimane seguite da 2 di pausa. I pazienti assegnati al braccio sperimentale ricevevano atezolizumab alla dose di 1200 mg + bevacizumab alla dose di 15 mg/kg, ogni 3 settimane.

Endpoint co-primari erano la sopravvivenza libera da progressione (progression-free survival, PFS) nella popolazione di casi caratterizzati da espressione di PDL1, e sopravvivenza globale (overall survival, OS) nella popolazione complessiva.

L’analisi principale dello studio ha evidenziato un significativo vantaggio in termini di PFS con la combinazione di atezolizumab e bevacizumab, ma nessuna differenza significativa in sopravvivenza globale.

Gli autori presentano ora un’analisi di sottogruppo dei pazienti affetti da tumore con componente sarcomatoide, basata su 68 pazienti assegnati al braccio sperimentale e 74 pazienti assegnati al braccio di controllo.

La sopravvivenza libera da progressione è risultata significativamente migliore nel gruppo di pazienti trattati con la combinazione di atezolizumab e bevacizumab rispetto al gruppo di pazienti trattati con sunitinib (PFS mediana pari a 8.3 mesi vs 5.3 mesi, hazard ratio 0.52, intervallo di confidenza al 95% 0.34–0.79).

Nel sottogruppo di pazienti con tumore sarcomatoide e positivi per espressione di PDL1, la sopravvivenza libera da progressione è risultata significativamente prolungata con la combinazione di atezolizumab e bevacizumab (PFS mediana 8.6 vs 5.6 mesi; Hazard Ratio 0.45, intervallo di confidenza al 95% 0.26 – 0.77).

La sopravvivenza globale mediana è risultata pari a 21.7 mesi nel gruppo di pazienti trattati con atezolizumab e bevacizumab vs. 15.4 mesi nel gruppo di pazienti trattati con sunitinib (hazard ratio 0.64, intervallo di confidenza al 95% 0.41 – 1.01).

La proporzione di risposte obiettive è risultata significativamente maggiore con la combinazione di atezolizumab e bevacizumab rispetto a sunitinib (49% vs 14%), con una maggiore proporzione di risposte complete (10% vs 3%).

Analoga differenza a favore della combinazione di immunoterapico e antiangiogenico è stata osservata nel sottogruppo di pazienti con tumore sarcomatoide positivi per PDL1: proporzione di risposte obiettive 56% vs 12%, proporzione di risposte complete 14% vs 4%.

Il profilo di tollerabilità della combinazione sperimentale, rispetto ai pazienti trattati con sunitinib, è risultato coerente con quanto atteso sulla base della tossicità dei farmaci singoli, e simile alla tollerabilità osservata nella popolazione complessiva dello studio.

L’analisi del tempo al deterioramento dei sintomi ha documentato un vantaggio a favore della combinazione sperimentale rispetto al sunitinib.

Le analisi di sottogruppo, è noto, vanno sempre interpretate con cautela. Anche se gli autori sottolineano che si tratta di un’analisi pre-specificata, è importante ricordare che il rischio di osservare un risultato falso positivo è più elevato quando si conducono confronti in più sottogruppi in aggiunta al confronto principale tra i bracci di uno studio randomizzato.

D’altra parte, pur rimanendo sempre concreti tali limiti, la consistenza dei risultati tra studi diversi è sicuramente un elemento da tenere in considerazione nel giudicare la solidità e l’attendibilità di un’analisi di sottogruppo. Sia nello studio di nivolumab + ipilimumab, sia nello studio di atezolizumab + bevacizumab, sia nello studio di axitinib + avelumab, sia nello studio di pembrolizumab + axitinib, l’outcome in termini di risposte obiettive e di sopravvivenza libera da progressione è risultato significativamente migliore con la combinazione sperimentale rispetto al trattamento con sunitinib.

E’ evidente che l’istologia sarcomatoide consente di identificare un sottogruppo di casi a prognosi particolarmente sfavorevole, nei quali il risultato atteso con il trattamento standard è mediamente peggiore rispetto agli altri casi. Quando oggi iniziamo, nella pratica clinica, il trattamento di tali pazienti con un inibitore di tirosino-chinasi, sappiamo già che la chance di ottenere una risposta obiettiva è nettamente più bassa rispetto ai casi caratterizzati da istologie meno aggressive, e sappiamo già che la durata del controllo di malattia è mediamente corta ed insoddisfacente.

Siamo quindi in una condizione di notevole unmet need. Peraltro, ad oggi, sia la combinazione di atezolizumab e bevacizumab che le altre combinazioni con immunoterapia non sono rimborsate per l’impiego nella pratica clinica in Italia.