Patologia genito-urinaria
Sabato, 07 Maggio 2016

PSA unico segnale di recidiva di carcinoma della prostata: quando iniziare la terapia ormonale?

A cura di Massimo Di Maio

Pubblicati su Lancet Oncology i risultati di uno studio randomizzato australiano, che ha valutato l’inizio immediato del trattamento ormonale rispetto all’inizio “ritardato”: l’evidenza è di un beneficio in sopravvivenza globale.

Duchesne, Gillian M et al. Timing of androgen-deprivation therapy in patients with prostate cancer with a rising PSA (TROG 03.06 and VCOG PR 01-03 [TOAD]): a randomised, multicentre, non-blinded, phase 3 trial. The Lancet Oncology 2016 [Epub ahead of print]

La diffusione universale del dosaggio del PSA nel follow-up dei pazienti inizialmente trattati con intento curativo per un carcinoma della prostate ha fatto sì che molti pazienti ricevano una diagnosi di malattia recidiva, non più suscettibile di trattamenti locali, quando sono ancora completamente asintomatici.

Lo studio TOAD era uno studio randomizzato cooperativo multicentrico iniziato nel 2004, grazie alla collaborazione del Cancer Council Victoria, del Trans-Tasman Radiation Oncology Group e della Urological Society of Australia and New Zealand (USANZ).

L’ipotesi alla base dello studio, iniziato oltre dieci anni fa ma pubblicato ora su Lancet Oncology, era che l’inizio “precoce” della terapia di deprivazione androgenica (ADT) al momento della diagnosi di recidiva basata sull’incremento del PSA potesse dimostrarsi superiore, in termini di sopravvivenza globale, rispetto al rinvio dell’inizio del trattamento al momento della progressione “clinica”.

Lo studio prevedeva la randomizzazione di pazienti con carcinoma della prostata, eleggibili in caso di rialzo del PSA dopo un precedente trattamento curativo (chirurgia o radioterapia), oppure eleggibili in caso di non indicazione ai trattamenti curativi (sulla base dell’età, delle patologie concomitanti, dell’estensione localmente avanzata di malattia).

La randomizzazione (in rapporto 1:1) prevedeva che:

  • i pazienti assegnati al braccio sperimentale ricevessero ADT immediata;
  • i pazienti assegnati al braccio di controllo ricevessero ADT “ritardata” di almeno 2 anni (oppure prima dei 2 anni se l’evoluzione clinica lo avesse richiesto, a giudizio del clinico).

La scelta del tipo di ADT era a discrezione dello sperimentatore, e lo studio era condotto in aperto.

L’endpoint primario era la sopravvivenza globale nella popolazione intention-to-treat.

L’ipotesi alla base del dimensionamento dello studio era che l’inizio precoce dell’ADT potesse produrre un miglioramento del 10% della sopravvivenza a 5 anni. Il protocollo prevedeva pertanto l’accrual di circa 750 pazienti.

L’accrual nello studio è stato interrotto nel 2012, in seguito a una decisione dell’ “independent data monitoring committee”, dal momento che, 8 anni dopo l’inizio dello studio, meno della metà dei pazienti previsti dal dimensionamento iniziale era stato randomizzato.

Nel dettaglio, tra il 2004 ed il 2012 sono stati randomizzati 293 pazienti (261 con recidiva “biochimica” ovvero innalzamento del PSA e 32 con malattia non candidata alla diagnosi a trattamenti curativi). La pubblicazione su Lancet Oncology presenta i dati derivanti dal follow-up proseguito fino al febbraio 2014 (follow-up mediano pari a 5 anni dalla data di randomizzazione). Le analisi presentate si basano su 46 decessi (l’11% nel braccio sperimentale e il 20% nel braccio di controllo).

La sopravvivenza a 5 anni è risultata pari a:

  • 86.4% (intervallo di confidenza al 95% 78.5%–91.5%) nel braccio “ritardato;
  • 91.2% (95%CI 84.2% – 95.2%) nel braccio di ADT immediata (log-rank p value = 0.047).

L’hazard ratio di decesso è risultata pari a 0.55 (intervallo di confidenza al 95% 0.30 – 1.00; p = 0.05).

Gli autori sottolineano che i risultati presentati rappresentano un’importante evidenza a sostegno dell’inizio immediato della terapia di deprivazione androgenica anche in presenza di recidiva di malattia solamente biochimica, in assenza di progressione clinica e di sintomi.

Nonostante lo studio sia stato interrotto precocemente per lo scarso accrual, e le analisi siano quindi basate su un numero di decessi nettamente inferiore rispetto all’ipotesi alla base del dimensionamento dello studio, la differenza in sopravvivenza globale a favore dell’inizio immediato dell’ADT è statisticamente significativa.

La differenza nella percentuale di pazienti vivi a 5 anni dalla randomizzazione non raggiunge i 10 punti percentuali che erano la differenza clinicamente rilevante alla base del dimensionamento dello studio, ma il risultato (5 punti percentuali a favore, 86.4% vs 91.2%) è comunque un rilevante argomento a favore dell’inizio immediato del trattamento.

Lo scopo di non iniziare subito il trattamento ormonale, rinviandolo al momento della comparsa di sintomi e di malattia clinicamente evidente, sarebbe ovviamente quello di valutare, sull’altro piatto della bilancia, il “peso” degli effetti collaterali e l’impatto sulla qualità di vita del trattamento ormonale. I pro e i contro della decisione, e in particolare l’impatto in sopravvivenza globale della decisione di iniziare immediatamente la terapia di deprivazione androgenica, meritano sicuramente di essere discussi con il paziente.