Patologia genito-urinaria
Sabato, 09 Luglio 2016
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Dottore, ma il mio tumore della prostata è ereditario?

A cura di Massimo Di Maio

E' noto che esistono alcune sindromi ereditarie associate a un rischio aumentato di tumore della prostata. Ma quanto sono frequenti alterazioni germinali in pazienti non selezionati per storia familiare? Forse più di quanto crediamo...

Pritchard CC et al. Inherited DNA-repair gene mutations in men with metastatic prostate cancer. New England Journal of Medicine July 6, 2016DOI: 10.1056/NEJMoa1603144

E' noto che mutazioni ereditarie in alcuni geni del riparo del DNA, come tipicamente BRCA-2, sono associati ad un rischio aumentato di sviluppare un carcinoma della prostata. I precedenti studi condotti su casistiche di pazienti con tumore della prostata diagnosticato in stadi iniziali, non selezionati per storia familiare di neoplasia prostatica, hanno documentato una prevalenza relativamente bassa di alterazioni germinali in tali geni. Sul piano pratico, questo "scoraggia" l'analisi genetica in soggetti affetti da tumore della prostata, quando la storia familiare non sia di per sé suggestiva di rischio ereditario.

Lo studio pubblicato il 6 luglio 2016 sul New England Journal of Medicine ha invece preso in esame l'eventuale presenza di mutazioni germinali nei geni del riparo del DNA in una casistica di soggetti con tumore della prostata metastatico, basandosi sul razionale che la selezione di pazienti con una malattia clinicamente più aggressiva e in stadio più avanzato possa "arricchire" per la presenza di casi a predisposizione genetica. 

Pritchard e colleghi descrivono l'analisi di 692 uomini con tumore della prostata metastatico, non selezionati per storia familiare a rischio, né selezionati per età precoce di insorgenza.

L'analisi è stata eseguita isolando il DNA germinale e analizzando la presenza di mutazioni in 20 geni del riparo del DNA, noti per essere associati a sindromi autosomiche dominanti di predisposizione allo sviluppo di tumori.

Sul totale di 692 soggetti analizzati, l'analisi ha riscontrato la presenza di 84 mutazioni germinali nei geni del riparo del DNA, in 82 soggetti, pari all'11.8% della casistica.

Nel dettaglio, sono state descritte mutazioni in 16 geni, tra cui, in ordine decrescente di frequenza:

  • BRCA2 (37 pazienti [5.3%]);
  • ATM (11 pazienti [1.6%]);
  • CHEK2 (10 pazienti [1.9% dei 534 soggetti con informazione disponibile]);
  • BRCA1 (6 pazienti [0.9%]);
  • RAD51D (3 pazienti [0.4%]);
  • PALB2 (3 pazienti [0.4%]).

La frequenza delle suddette mutazioni non era significativamente differente a seconda della storia familiare a rischio, né dell'età alla diagnosi.

Confrontando la frequenza delle alterazioni germinali potenzialmente associate a sindromi ereditarie in questa casistica di soggetti con tumore della prostata metastatico con altre serie analizzate, tale frequenza è risultata significativamente più elevata rispetto alla frequenza descritta nei soggetti con tumore della prostata localizzato (4.6%, p<0.001), e nettamente più elevata rispetto alla frequenza nei soggetti sani senza diagnosi di tumore (2.7%, dato dell'Exome Aggregation Consortium, basato sull'analisi di 53105 soggetti, p<0.001).

Il dato pubblicato da Pritchard e colleghi merita la vetrina del New England Journal of Medicine in quanto porta all'attenzione della comunità scientifica un dato molto interessante: anche in soggetti non selezionati sulla base di parametri clinici che comunemente associamo ad un rischio ereditario maggiore (età precoce di insorgenza della neoplasia e storia familiare positiva), la frequenza di alterazioni germinali nei geni del riparo del DNA è tutt'altro che trascurabile, raggiungendo il 12% della casistica.

Nelle conclusioni dell'articolo, gli autori si spingono a dire che tale risultato suggerisce l'opportunità di analizzare l'eventuale presenza di mutazioni germinali in tutti i soggetti con tumore della prostata metastatico. Questa conclusione è probabilmente "prematura" rispetto alla reale ricaduta degli interessanti risultati nella pratica clinica, ma il lavoro del New England ci suggerisce alcune importanti riflessioni:

  • alla domanda frequente "dottore, ma il mio tumore è ereditario?", possiamo continuare a rispondere che nella maggior parte dei casi non lo è. La percentuale di casi con mutazioni germinali, per quanto elevata, è comunque bassa, e l'88% dei casi non presentava alterazioni ereditarie. Tra l'altro, gli autori riconoscono che i pazienti ultrasettantenni erano sotto-rappresentati, e questo potrebbe aver involontariamente "arricchito" la casistica per casi a rischio di forme ereditarie
  • senza dubbio, il dato è provocatorio per i possibili sviluppi futuri sia in tema di counseling genetico, sia in tema di ripercussioni terapeutiche, dal momento che l'identificazione delle mutazioni descritte potrebbe essere un concreto passo verso la scelta di un trattamento personalizzato. Ma questo, al momento, non è pratica clinica.