Patologia genito-urinaria
Sabato, 27 Maggio 2023

L’altro piatto della bilancia per il tumore della prostata: le possibili tossicità della terapia ormonale.

A cura di Massimo Di Maio

I risultati di una metanalisi pubblicata da JAMA Oncology descrivono il rischio di tossicità cognitiva, fatigue e cadute nei pazienti con tumore della prostata che ricevano farmaci ormonali di nuova generazione. Un’analisi con molti limiti, ma che merita attenzione.

Nowakowska MK, Ortega RM, Wehner MR, Nead KT. Association of Second-generation Antiandrogens With Cognitive and Functional Toxic Effects in Randomized Clinical Trials: A Systematic Review and Meta-analysis. JAMA Oncol. Published online May 25, 2023. doi:10.1001/jamaoncol.2023.0998

Negli ultimi anni, I farmaci ormonali di nuova generazione (abiraterone, enzalutamide in primis, seguiti più recentemente da apalutamide e darolutamide) hanno prodotto evidenze di efficacia nel trattamento dei pazienti affetti da tumore della prostata, prima nel setting di malattia metastatica resistente alla castrazione, poi producendo evidenze in pazienti con malattia più “precoce”, ad esempio la malattia metastatica ormonosensibile e i casi resistenti alla castrazione senza evidenza di metastasi.

Sulla base di tali risultati, questi farmaci possono essere impiegati nella pratica clinica, ed è importante la conoscenza e la discussione con il paziente delle possibili tossicità e del loro possibile impatto negativo sulla qualità di vita. Il trattamento può durare anche anni, e pur essendo genericamente definito “ben tollerato” può essere associato a numerosi effetti, legati al meccanismo d’azione di questi farmaci, quasi sempre somministrati in combinazione con la terapia di deprivazione androgenica, in pazienti molto spesso già trattati con terapia ormonale per un tempo variabile.

Gli autori della revisione sistematica, con metanalisi, pubblicata da JAMA Oncology avevano l’obiettivo di sintetizzare l’evidenza disponibile sulla tossicità in termini di funzione cognitiva, di astenia e di cadute nei pazienti che ricevono antiandrogeni di nuova generazione.

Allo scopo, sono stati selezionati gli studi randomizzati che testavano l’impiego di un farmaco ormonale di seconda generazione (abiraterone, apalutamide, darolutamide, enzalutamide) in pazienti affetti da tumore della prostata.

Gli autori hanno recuperato dalle pubblicazioni il dato relativo alle tossicità riportate dagli sperimentatori, per gli eventi avversi di interesse. Il rischio di ciascun tipo di evento avverso preso in considerazione è stato espresso in termini di risk ratio (RR).

La revisione sistematica ha incluso 12 studi, per un totale di 1354 pazienti. Peraltro, le singole tossicità prese in considerazione erano disponibili in un diverso numero di studi: la fatigue in tutti i 12 studi, il danno cognitivo solo in 4 studi, le cadute in 6.

Rispetto ai pazienti trattati nei bracci di controllo, quelli trattati con i farmaci ormonali di nuova generazione hanno presentato un rischio significativamente aumentato di effetti negativi sulla funzione cognitiva (risk ratio 2.10, intervallo di confidenza al 95% 1.30 - 3.38; p=0.002) e in termini di fatigue (risk ratio 1.34, intervallo di confidenza al 95% 1.16 - 1.54; p<0.001).

Sia per la tossicità in termini di funzione cognitiva (risk ratio 1.77; intervallo di confidenza al 95% 1.12 - 2.79; p=0.01) sia per la fatigue (risk ratio 1.32; intervallo di confidenza al 95% 1.10 - 1.58; p=0.003) il risultato è stato simile considerando gli studi che prevedevano la terapia di deprivazione androgenica in entrambi i bracci.

L’analisi di meta-regressione (correlazione tra la frequenza di una particolare caratteristica nella popolazione in studio e l’incidenza dell’evento di interesse) ha evidenziato un’associazione significativa del rischio di fatigue con l’aumento dell’età.

L’impiego di farmaci ormonali di seconda generazione è risultato associato a un incremento significativo del rischio di cadute (risk ratio 1.87, intervallo di confidenza al 95% 1.27 - 2.75; p=0.001).

Sulla base dei risultati sopra sintetizzati, gli autori concludono che i farmaci ormonali di nuova generazione sono associati a un rischio aumentato di tossicità cognitiva e funzionale.

I risultati della revisione sistematica sanciscono quello è emerso che negli ultimi anni, con l’aumento dell’impiego di questi trattamenti nella pratica clinica, e con il progressivo anticipo del loro uso nell’ambito della storia di malattia (che comporta trattamenti di durata più lunga).

Innanzitutto, va apprezzato l’intento degli autori di porre l’attenzione sulla tossicità dei trattamenti. Spesso, sia nella discussione dei risultati degli studi sia nella comunicazione con i pazienti, siamo molto “concentrati” sull’endpoint primario di efficacia degli studi, ma è necessaria esplicita attenzione all’altro “piatto della bilancia”. In questo caso, parliamo di trattamenti che possono durare anche anni, e quindi un’adeguata informazione relativa ai rischi associati al trattamento (non necessariamente acuti, ma “subdoli” e in qualche caso tardivi) è fondamentale.

Quando si commentano i risultati di una metanalisi bisogna sempre prestare attenzione all’eventuale eterogeneità dell’effetto: gli studi presi in considerazione avevano come elemento comune l’impiego di un farmaco ormonale di nuova generazione, ma si trattava di farmaci diversi tra loro. La metanalisi ha il pregio di “sintetizzare” il risultato dei diversi studi, ma non necessariamente l’effetto è lo stesso per i vari farmaci. Ad esempio, una metanalisi network (confronto indiretto) tra i vari studi condotti con farmaci ormonali di nuova generazione nel setting di malattia M0 resistente alla castrazione aveva evidenziato alcune differenze significative tra i vari farmaci, ad esempio con un rischio di effetti neurologici, di cadute e di fatigue significativamente minore con la darolutamide rispetto ad apalutamide ed enzalutamide. Nel lavoro di JAMA Oncology, il problema dell’eterogeneità tra i vari farmaci è potenzialmente sottovalutato.

Infine, gli autori hanno basato la loro analisi sui dati riportati dagli sperimentatori nelle pubblicazioni dei singoli studi. Molti degli effetti considerati nell’analisi (ad esempio l’impatto sulla funzione cognitiva) sarebbero sicuramente analizzati in maniera più sensibile mediante l’impiego di patient-reported outcomes e questionari dedicati. Purtroppo, quasi nessuno degli studi considerati impiegava strumenti di questo tipo, come già precedentemente evidenziato (https://www.mdpi.com/2072-6694/12/9/2568). Questo limita la sensibilità della recente metanalisi. Pertanto, sono condivisibili le conclusioni degli autori che invocano la necessità di studi prospettici sull’argomento, ad esempio con una valutazione basale più approfondita della funzione cognitiva e con l’impiego di strumenti dedicati per la sua rilevazione in corso di trattamento.

Nella bibliografia, anche il link all'editoriale che accompagna la pubblicazione.