Patologia genito-urinaria
Martedì, 29 Settembre 2015

E' il nivolumab a ricordarci quel lato immunogeno del carcinoma renale...

A cura di Fabio Puglisi

In considerazione della loro rilevanza clinica, i risultati dello studio di fase III CheckMate-025 sono stati presentati nel corso dell'edizione 2015 dell'ECC (European Cancer Congress) e pubblicati simultaneamente sulle pagine del New England Journal of Medicine. Il contesto è quello del carcinoma renale avanzato e, ancora una volta, è il nivolumab a far valere le proprie doti antitumorali. 

Motzer RJ, et al. Nivolumab versus Everolimus in Advanced Renal-Cell Carcinoma. N Engl J Med 2015 [Epub ahead of print] 

 

 

Prima del 2005, gli agenti sistemici più utilizzati per il trattamento del carcinoma renale avanzato erano le citochine (interferon-alfa e interleuchina-2), con risultati modesti e tossicità non trascurabile. Dopo il 2005, sono stati introdotti gli agenti antiangiogenici e gli inibitori di mTOR. Oggi, la sequenza terapeutica prevede l'impiego di un inibitore di VEGFR in prima linea e, al momento della progressione, lo switch ad un'altra terapia antiangiogenica o ad un inibitore di mTOR.

Lo studio CheckMate-025, attraverso un disegno randomizzato 1:1 di fase III, open-label, condotto su 821 pazienti con carcinoma renale a cellule chiare in stadio avanzato e pretrattati con uno o due agenti antiangiogenici, ha confrontato i seguenti trattamenti:

  • nivolumab (agente anti-PD-1) 3 mg/kg ogni 2 settimane per via endovenosa
  • everolimus (inibitore di mTOR) 10 mg die per os

Altri criteri di elegibilità:

  • Malattia misurabile secondo RECIST
  • Non più di tre regimi precedenti di terapia sistemica, incluse citochine e chemioterapia
  • Progressione di malattia durante o dopo l'ultima linea di trattamento e, comunque, entro i 6 mesi precedenti l'arruolamento in studio
  • Assenza di metastasi al SNC
  • Nessuna terapia precedente con inibitore di mTOR
  • Nessuna condizione richiedente trattamento steroideo (equivalente a > 10 mg di prednisone die)


Fattori di stratificazione 

  • Area geografica (Stati Uniti/Canada, Europa occidentale, resto del mondo)
  • Gruppo prognostico MSKCC
  • Numero di precedenti regimi con antiangiogenici (uno o due)

Endpoint primario: overall survival (analisi ad interim pianificata dopo il 70% degli eventi: 398/569; potenza del 90% per evidenziare un hazard ratio di 0.76 con un tasso di errore di tipo 1 di 0.05 e un livello di significatività posto a 0.0148). Nel luglio 2015, lo studio è stato interrotto perchè l'endpoint è stato raggiunto.

 

L'overall survival mediana è stata di 25 mesi (95% IC, 21.8-non stimabile) con il nivolumab e di 19.6 mesi (95% IC, 17.6-23.1) con l'everolimus. L'hazard ratio per morte nel confronto nivolumab verso everolimus è stato pari a 0.73 (98.5% IC, 0.57-0.93; P = 0.002), con il raggiungimento dell'obiettivo di superiorità. Il beneficio in OS è stato osservato nei diversi sottogruppi analizzati. 

In termini di tasso di risposta, il nivolumab si è rivelato superiore all'everolimus (25% vs. 5%; odds ratio 5.98 [95% IC, 3.68-9.72]; P<0.001).

Nessuna differenza statisticamente significativa è emersa tra i due bracci riguardo alla progression-free survival: 4.6 mesi con il nivolumab  (95% IC, 3.7-5.4) e 4.4 mesi (95% CI, 3.7-5.5) con l'everolimus (hazard ratio 0.88; 95% IC, 0.75-1.03; P = 0.11). Un'analisi di sensibilità ad hoc ha esaminato la progression-free survival nei pazienti che non avevano sperimentato un evento a 6 mesi (145 [35%] nel braccio nivolumab e 129 patients [31%] nel braccio everolimus), evidenziando un vantaggio con l'impiego di nivolumab (hazard ratio 0.64; 95% CI, 0.47-0.88):

  • PFS mediana di 15.6 mesi (95% IC, 11.8-19.6) con il nivolumab
  • PFS mediana di 11.7 mesi (95% IC, 10.9-14.7) con l'everolimus

Eventi avversi di grado 3 o di grado 4 sono occorsi più frequentemente con l'everolimus (37% verso 19%); l'effetto collaterale più comune fra i pazienti trattati con nivolumab è stato la fatigue (2% dei pazienti), quello fra i pazienti trattati con everolimus l'anemia (8%).

Nel trattamento di pazienti con carcinoma renale avanzato già trattati con terapia antiangiogenica, il nivolumab si è dimostrato superiore all'everolimus in termini di:

  • overall survival
  • tasso di risposta
  • profilo di tossicità (più favorevole con il nivolumab)

Esaminando le curve di progression-free survival, si evince un beneficio tardivo attribuibile al nivolumab. Tale beneficio, quantificato attraverso un'analisi di sensibilità, probabilmente contribuisce al guadagno ottenuto in termini di overall survival.