Patologia genito-urinaria
Sabato, 27 Febbraio 2021

Nell’arco di 15 anni la PFS mediana passa da 5 a 24 mesi: il progresso nel tumore del rene è chiaro!

A cura di Massimo Di Maio

Fino al 2007, la sopravvivenza libera da progressione mediana dei pazienti affetti da tumore del rene avanzato era pari a 5 mesi. Oggi, i risultati dello studio CLEAR con pembrolizumab e lenvatinib evidenziano una PFS mediana pari a 24 mesi. In pochi anni, il progresso è stato clamoroso.. ma ora c’è l’imbarazzo della scelta.

Motzer R, Alekseev B, Rha SY, Porta C, Eto M, Powles T, Grünwald V, Hutson TE, Kopyltsov E, Méndez-Vidal MJ, Kozlov V, Alyasova A, Hong SH, Kapoor A, Alonso Gordoa T, Merchan JR, Winquist E, Maroto P, Goh JC, Kim M, Gurney H, Patel V, Peer A, Procopio G, Takagi T, Melichar B, Rolland F, De Giorgi U, Wong S, Bedke J, Schmidinger M, Dutcus CE, Smith AD, Dutta L, Mody K, Perini RF, Xing D, Choueiri TK; CLEAR Trial Investigators. Lenvatinib plus Pembrolizumab or Everolimus for Advanced Renal Cell Carcinoma. N Engl J Med. 2021 Feb 13. doi: 10.1056/NEJMoa2035716. Epub ahead of print. PMID: 33616314.

Negli ultimi tempi, varie combinazioni di farmaci hanno dimostrato superiorità rispetto al sunitinib come trattamento di prima linea dei pazienti affetti da carcinoma renale avanzato. Tale superiorità è stata dimostrata sia per la combinazione di nivolumab e ipilimumab (quindi 2 farmaci immunoterapici) sia per la combinazione di pembrolizumab e axitinib, avelumab e axitinib, nivolumab e cabozantinib (quindi 1 farmaco immunoterapico e 1 farmaco inibitore di tirosino-chinasi), sia per la combinazione di atezolizumab e bevacizumab (quindi 1 farmaco immunoterapico e 1 anticorpo monoclonale anti-angiogenico).

In questo scenario affollato di novità terapeutiche, si inseriscono i risultati dello studio di fase III pubblicato a febbraio 2021 sul New England Journal of Medicine, in cui 2 distinte combinazioni, entrambe comprendenti lenvatinib, sono state confrontate con il sunitinib. Dati preliminari avevano evidenziato una promettente attività sia della combinazione di lenvatinib e pembrolizumab, sia della combinazione di lenvatinib ed everolimus.

Lo studio CLEAR prevedeva la randomizzazione di pazienti affetti da carcinoma del rene avanzato, con una componente a cellule chiare, con performance status secondo Karnofsky pari ad almeno 70, che non avessero ricevuto precedenti trattamenti sistemici.

Lo studio prevedeva la randomizzazione (in rapporto 1: 1: 1 tra i 3 bracci):

  • Il primo braccio sperimentale prevedeva la combinazione di lenvatinib (20 mg per via orale, una volta al giorno) + pembrolizumab (200 mg somministrati per via endovenosa, una volta ogni 3 settimane);
  • Il secondo braccio sperimentale prevedeva la combinazione di lenvatinib (18 mg per via orale, una volta al giorno) + everolimus (5 mg per via orale, una volta al giorno)
  • Il braccio standard prevedeva la somministrazione di sunitinib (50 mg per via orale, una volta al giorno, per 4 settimane intervallate da 2 settimane di pausa).

Endpoint primario dello studio era la sopravvivenza libera da progressione, valutata da un comitato di revisione indipendente.

Tra gli endpoint secondari, la sopravvivenza globale e la valutazione della tollerabilità del trattamento.

Lo studio era dimensionato assumendo una PFS mediana pari a 12.3 mesi con il sunitinib, e un hazard ratio pari a 0.714 per ciascuna delle 2 combinazioni sperimentali rispetto al sunitinib (corrispondente a un incremento del 40% della PFS mediana a 17.2 mesi). Lo studio aveva una potenza del 90%, con errore alfa 0.045, per il confronto lenvatinib + pembrolizumab rispetto a sunitinib (richiedendo 388 eventi per il confronto). In aggiunta, lo studio prevedeva un errore alfa 0.0049 per il confronto lenvatinib + everolimus rispetto a sunitinib, con una potenza del 70% (che sarebbe diventata 90% in caso di positività dell’altro confronto).

Lo studio non prevedeva un confronto diretto tra i 2 bracci sperimentali.

Complessivamente, sono stati randomizzati 1069 pazienti, dei quali:

  • 355 pazienti assegnati alla combinazione di lenvatinib e pembrolizumab
  • 357 pazienti assegnati alla combinazione di lenvatinib ed everolimus
  • 357 pazienti assegnati al trattamento standard con sunitinib .

La sopravvivenza libera da progressione è risultata significativamente più lunga con la combinazione di lenvatinib e pembrolizumab rispetto al trattamento standard con sunitinib (sopravvivenza libera da progressione mediana pari a 23.9 mesi rispetto a 9.2 mesi; hazard ratio 0.39; intervallo di confidenza al 95% 0.32 - 0.49; p<0.001).

La sopravvivenza libera da progressione è risultata significativamente più lunga con la combinazione di lenvatinib ed everolimus rispetto al trattamento standard con sunitinib (sopravvivenza libera da progressione mediana pari a 14.7 mesi rispetto a 9.2 mesi; hazard ratio 0.65; intervallo di confidenza al 95% 0.53 - 0.80; p<0.001).

La sopravvivenza globale è risultata significativamente più lunga con la combinazione di lenvatinib e pembrolizumab rispetto a sunitinib (hazard ratio 0.66; intervallo di confidenza al 95% 0.49 - 0.88; p=0.005). Invece, la combinazione di lenvatinib ed everolimus non è risultata associata a un significativo prolungamento della sopravvivenza globale rispetto a sunitinib (hazard ratio 1.15; intervallo di confidenza al 95% 0.88 -1.50; p=0.30).

La proporzione di risposte obiettive è risultata pari al 71.0% con lenvatinib + pembrolizumab, 53.5% con lenvatinib + everolimus, 36.1% con sunitinib

La proporzione di risposte complete è risultata pari a 16.1% con lenvatinib + pembrolizumab, 9.8% con lenvatinib + everolimus, 4.2% con sunitinib.

La proporzione di pazienti che hanno avuto, in corso di trattamento, eventi avversi di grado 3 o peggiore è risultata pari all’82.4% nel braccio assegnato a lenvatinib + pembrolizumab, 83.1% nel braccio assegnato a lenvatinib + everolimus, rispetto al 71.8% dei pazienti assegnati al braccio di controllo con sunitinib.

Sia ipertensione, che diarrea di grado 3 sono state registrate in almeno il 10% dei pazienti in tutti i 3 bracci dello studio.

Sulla base dei risultati sopra sintetizzati, le conclusioni degli autori enfatizzano il significativo beneficio ottenuto con la combinazione di lenvatinib e pembrolizumab, sia in termini di sopravvivenza libera da progressione che in termini di sopravvivenza globale.

Se guardiamo al progresso ottenuto, nell’arco di pochi lustri, nel trattamento sistemico del tumore del rene metastatico, sono tanti I motivi di soddisfazione. Nel 2007, i risultati dello studio di confronto tra sunitinib e interferone alfa segnavano un passaggio storico dall’era in cui erano disponibili solo le citochine (poi diventate rapidamente obsolete) all’era degli inibitori di tirosino-chinasi: all’epoca, il vantaggio evidenziato dal sunitinib apparve chiaro e netto rispetto ai 5 mesi di PFS mediana ottenuti con l’interferone.

A distanza di pochi anni, si sono accumulati numerosi risultati positivi ottenuti con varie combinazioni: nivolumab + ipilimubab; pembrolizumab + axitinib; nivolumab + cabozantinib; atezolizumab + bevacixumab; avelumab + axitinib. A questa lista, ormai lunga, si aggiungono anche le combinazioni testate nello studio CLEAR. Il risultato ottenuto con lenvatinib ed everolimus è in qualche modo oscurato dal risultato più eclatante ottenuto con lenvatinib e pembrolizumab, che ha dimostrato anche un prolungamento significativo della sopravvivenza globale.

La domanda è scontata: come scegliere la combinazione migliore? Gli studi condotti con le nuove combinazioni rispetto al sunitinib, braccio di controllo comune a tutti gli studi, sono un tipico esempio di sviluppo “parallelo” di nuovi trattamenti, ognuno dei quali si confronta con il vecchio standard. In assenza di confronti diretti testa a testa, come scegliere? Già in altre occasioni abbiamo commentato i limiti delle metanalisi network e dei tentativi di confrontare indirettamente i risultati dei diversi studi, sfruttando il braccio di controllo comune… Sono affidabili questi confronti indiretti? Non del tutto.

Sicuramente il dibattito nella comunità scientifica non mancherà. In situazioni come questa, appare evidente che la ricerca non finisce nel momento della conduzione dello studio registrativo, ma tanti spunti per l’ottimizzazione dell’impiego dei trattamenti, specialmente nell’ottica dell’identificazione di fattori predittivi, sarebbero terreno fertile per la ricerca accademica, post-registrativa.

Peraltro, tutte queste dimostrazioni di superiorità delle combinazioni rispetto al “vecchio” sunitinib rendono quest’ultimo completamente superato come standard, o è possibile pensare a pazienti in cui, per le caratteristiche di malattia, è ancora proponibile un trattamento con il solo inibitore di tirosino-chinasi, invece di combinazioni sicuramente più efficaci ma inevitabilmente gravate da un profilo di tossicità non trascurabile, oltre che da un costo notevole?

Insomma, il materiale per gli estensori delle linee guida non manca… per fortuna!