Patologia genito-urinaria
Giovedì, 22 Agosto 2019

Nivolumab e ipilimumab per il carcinoma renale: nozze superate e coppia inossidabile?

A cura di Giuseppe Aprile

Update e follow-up a lungo termine per il primo trial randomizzato - CheckMate 214 - che ha testato la terapia di combinazione nel carcinoma renale avanzato (vs sunitinib): prova superata?

Motzer RJ, et al. Nivolumab plus ipilimumab versus sunitinib in first-line treatment for advanced renal cell carcinoma: extended follow-up of efficacy and safety results from a randomised, controlled, phase 3 trial. Lancet Oncol 2019, epub Aug 16th

Lo scenario del trattamento di prima linea nel carcinoma renale pare non conosca pausa: rivoluzionato almeno tre volte nell'ultimo decennio.

Nel 2018, il CheckMate 2014 sembrava stanbilire un nuovo primato per il trattamento dei pazienti con malattia avanzata e score intermediate-poor (oltre il 75% dei 1.000 pazienti randomizzati): pubblicato sulle pagine del N Engl J Med dimostrava che la combinazione di ipilimumab (1 mg per Kg di peso corporeo) e nivolumab (3 mg per Kg di peso corporeo) era superiore in termini di sopravvivenza overall e rispsoste obiettive se comparato al sunitinib a dose standard (50 mg p.o. 4 settimane ogni 6) nei pazienti con carcinoma renale avanazato e prognosi sfavorevole.

Il report recente, pubblicato su Lancet Oncology, riporta e aggiorna endpoint importanti quali OS, PFS investigator-assessed, tasso di risposta obiettiva, caratterizzazione e tipologia di risposta e safety con un follow-up più maturo.

Con un follow-up esteso e ormai prossimo ai tre anni, si conferma il vantaggio della combinazione di immunoterapia vs il TKI, almeno nei pazienti con rischio intermedio o poor, per entrambi i co-primary nedpoint dello studio.

I pazienti randomizzati al braccio sperimentale avevano una OS mediana non raggiunta vs 26.6 mesi (HR 0.66, 95%CI 0.54-0.80, p<0.001); una comparabile PFS mediana (mPFS 8.3 mesi vs 8.2 mesi, HR 0.77), e una chance del 30% maggiore di ottenere una risposta obiettiva: 42% vs 29%, p<0.0001.

Da notare che il vantaggio in PFS si vedeva nei pazienti con rischio superiore a partire dal primo anno; interessante anche notare che la percentuale di pazienti con durata della risposta superiore ai 18 mesi era sostanzialmente raddoppiata nel braccio sperimentale (52% vs 28%).

Si sono inoltre confermati i differenti spettri di tossicità tra i due trattamenti, con una incidenza superiore di incremento di lipasi, amilasi e trabnsaminasi per i pazienti esposti all'immunoterapia vs una maggiore incidenza di ipertensione arterisa, fatigue e eritrodisestesia palmo-plantare per i pazienti che ricevevano sunitinib.

 

 

I dati dello studio estesi a un follow-up più maturo, confermano la pubblicazione iniziale. Si profila dunque una nuova era, nella quale la combinazione con immunoterapici (dimostrato nel CheckMate 214 e nel frattempo sopraggiunti quelli del Javelin Renal 101 con avelumab e axitinib e quelli del Keynote-426 con pembrolizumab e axitinib) si propongono come la nuova frontiera del trattamento di prima linea per il paziente con neoplasia renale avanzata.

Sagace, come sempre, il commento affidato alla penna dell'amico Giuseppe Procopio, che tocca vari punti ancora poco chiari: 1) l'eterogeneità del carcinoma renale potrebbe mascherare sacche di efficacia della monoterapia; 2) la ragione del vanraggio della combinazione sull'agente singolo - con effetto additivo ovvero sinergico - non è del tutto spiegata; 3) il tentativo "irresistibile" della cross-trial comparison, dimenticandosi del possibile effetto risposta maggiormente rapido nell'utilizzo di un TKI; 4) la comparsa sulla scena di nuovi attori, come ad esempio il cabozantinib, superiori al sunitinib anche in solitario; 5) i possibili nuovi elementi che saranno portati dai nuovi trial che testano lenvatinib con pembrolizumab o everolimus ovvero nivolumab e cabozantinib.

Insomma, la prima linea del trattamento per il carcinoma renale avanzato è destinata a riservare a breve nuove sorprese.