Patologia genito-urinaria
Sabato, 23 Dicembre 2017

Sbagliata selezione dei pazienti: il farmaco funziona, lo studio è negativo

A cura di Massimo Di Maio

Lo studio IMvigor 211 puntava sulla dimostrazione di beneficio dell’immunoterapia con atezolizumab nel sottogruppo di pazienti con tumore uroteliale selezionati per elevata espressione di PD-L1: scommessa persa. L’autorità regolatoria approva comunque il farmaco…

Powles T, Durán I, S van der Heijden MS, et al. Atezolizumab versus chemotherapy in patients with platinum-treated locally advanced or metastatic urothelial carcinoma (IMvigor211): a multicentre, open-label, phase 3 randomised controlled trial. The Lancet [Available online 18 December 2017]

Recentemente, numerosi studi di fase II, e anche uno studio di fase III condotto con pembrolizumab, hanno prodotto importanti evidenze a sostegno dell’impiego dei farmaci immunoterapici di nuova generazione nei pazienti con carcinoma uroteliale della vescica in stadio avanzato. Si tratta di pazienti spesso anziani, spesso caratterizzati da comorbidità, nei quali il trattamento chemioterapico con platino, quando fattibile, rappresenta l’opzione terapeutica di prima scelta, e nei quali, dopo il fallimento della prima linea, i risultati ottenuti con altri farmaci chemioterapici in seconda linea (docetaxel, paclitaxel oppure vinflunina) sono decisamente modesti.

Lo studio IMvigor 211, pubblicato a dicembre 2017 su Lancet dopo essere stato presentato a congresso qualche mese prima, è uno studio randomizzato di fase III, in aperto, multicentrico. Lo studio ha visto la partecipazione di 217 centri in tutto il mondo. Era prevista l’inclusione di pazienti con neoplasia uroteliale della vescica, in progressione dopo terapia con platino.

I pazienti erano assegnati dalla randomizzazione, in rapporto 1:1, al braccio sperimentale o al braccio di controllo:

  • il braccio sperimentale prevedeva la somministrazione di atezolizumab, alla dose di 1200 mg, ogni 3 settimane;
  • Il braccio di controllo prevedeva la somministrazione di chemioterapia a scelta dello sperimentatore (vinflunina alla dose di 320 mg/mq, oppure paclitaxel alla dose di 175 mg/mq, oppure docetaxel alla dose di 75 mg/mq, ogni 3 settimane).

Lo studio non prevedeva selezione dei pazienti sulla base dell’espressione di PD-L1, ma la randomizzazione prevedeva la stratificazione per livello di espressione di PD-L1, misurata a livello delle cellule infltranti il tumore (IC0, vale a dire espressione in meno dell’1%, o IC1, vale a dire espressione in percentuale compresa tra l’1% e meno del 5%, vs IC2/3, vale a dire espressione in 5% o più delle cellule infiltranti il tumore). Altri fattori di stratificazione per la randomizzazione erano il tipo di chemioterapia (vinflunina oppure taxani), la presenza o assenza di metastasi epatiche e il numero di fattori prognostici sfavorevoli.

L’endpoint primario dello studio era la sopravvivenza globale.

Il disegno dello studio prevedeva un’analisi gerarchica: il confronto tra i 2 bracci di trattamento doveva essere condotto prima nel sottogruppo di pazienti con elevata espressione di PD-L1 (IC2/3), poi, solo in caso di positività della precedente analisi, nel sottogruppo di pazienti con qualsiasi espressione di PD-L1 (IC1-2-3) e infine, solo in caso di positività della seconda analisi, anche nella popolazione complessiva (comprendente quindi anche i casi negativi per l’espressione di PD-L1).

Lo studio ha visto la randomizzazione complessiva di 931 pazienti, tra il gennaio 2015 ed il febbraio 2016. Nel dettaglio, 467 pazienti sono stati assegnati ad atezolizumab e 464 pazienti sono stati assegnati a chemioterapia.

L’analisi primaria di sopravvivenza globale, condotta nel sottogruppo dei 234 pazienti con elevata espressione di PD-L1, non ha evidenziato una differenza statisticamente significativa tra i 2 gruppi. La sopravvivenza mediana è risultata pari a 11.1 mesi nel gruppo trattato con atezolizumab e 10.6 mesi nel gruppo trattato con chemioterapia (hazard ratio 0.87, intervallo di confidenza al 95% 0.63 – 1.21, p=0.41). Tale negatività, quindi, ha precluso la conduzione del confronto formale tra i gruppi nella popolazione complessiva dello studio.

Nel gruppo di pazienti con elevata espressione di PD-L1, la proporzione di risposte obiettive è risultata pari al 23% con atezolizumab e al 22% con la chemioterapia, con una durata mediana della risposta più lunga con atezolizumab (15.9 mesi) rispetto alla chemioterapia (8.3 mesi).

Atezolizumab ha confermato un profilo di tossicità maneggevole e migliore della chemioterapia.

Lo studio IMvigor 211 si è concluso con un risultato negativo, in quanto gli autori, nel disegnare lo studio e nel pianificare l’analisi statistica, avevano “puntato” tutto sulla positività del confronto, a favore di atezolizumab, nel sottogruppo di pazienti selezionato per l’espressione elevata di PD-L1. L’intento, in linea di principio, è sicuramente apprezzabile: i risultati ottenuti con atezolizumab e altri immune checkpoint inhibitors evidenziano che solo una minoranza di pazienti si beneficia del trattamento.

La scommessa dello studio IMvigor 211 era che il test impiegato per la definizione dell’espressione di PD-L1 potesse identificare proprio il sottogruppo di pazienti che si beneficiano del trattamento immunoterapico, ma così non è stato. Anzi, a fronte del risultato formalmente negativo nel sottogruppo in cui era condotta l’analisi principale, la “beffa”: il risultato nella popolazione complessiva (non selezionata) è statisticamente significativo a favore di atezolizumab rispetto alla chemioterapia, a sottolineare proprio il fatto che pazienti che si beneficiano dal trattamento ci sono, ma che lo studio non è stato in grado di selezionarli opportunamente.

I risultati dello studio IMvigor si inseriscono nello scenario caratterizzato dalla precedente dimostrazione di efficacia di pembrolizumab (anch’esso confrontato con la chemioterapia di seconda linea in pazienti pretrattati con il platino), e dall’accumularsi di risultati interessanti ottenuti, oltre che con lo stesso atezolizumab nell’ambito di studi a singolo braccio, anche con altri immune checkpoint inhibitors. Questi farmaci avranno un ruolo importante nel trattamento dei pazienti con tumore avanzato della vescica e dell'urotelio. 

A dispetto della negatività dello studio 211, atezolizumab è stato approvato dall’European Medicines Agency sulla base delle altre evidenze di attività prodotte. Il risultato dello studio randomizzato, peraltro, deve far riflettere sia le aziende farmaceutiche, che l’autorità regolatoria, che l’intera comunità scientifica, sulla attenzione e cautela necessarie, a partire dalla fase di disegno degli studi, nell’identificazione dei fattori predittivi di risposta al trattamento.