Patologia genito-urinaria
Sabato, 19 Febbraio 2022

Trattamento del tumore della prostata metastatico ormono-sensibile: chi più ne ha più ne metta?

A cura di Massimo Di Maio

Presentati all’ASCO GU e pubblicati sul NEJM i risultati dello studio ARASENS: la darolutamide va ad aggiungersi alla lista di farmaci ormonali di nuova generazione che hanno dimostrato un beneficio in sopravvivenza in questo setting. Ad oggi, tuttavia, la lista di quelli rimborsati in Italia rimane vuota.

Smith MR, Hussain MHA, Saad F, et al. Darolutamide and survival in metastatic, hormone-sensitive prostate cancer. N Engl J Med. Published online February 17, 2022. doi: 10.1056/NEJMoa2119115

Qualche anno fa, come commentato da Oncotwitting (https://www.oncotwitting.it/patologia-genito-urinaria/darolutamide-per-il-carcinoma-prostatico-resistente-alla-castrazione-arrivano-i-dati-di-sopravvivenza) la darolutamide, potente farmaco ormonale di nuova generazione, ha dimostrato un beneficio significativo nel setting della malattia castration-resistant, in assenza di metastasi, aggiungendosi alla lista dei farmaci ormonali di nuova generazione efficaci in questo setting.

Adesso, sono stati presentati all’ASCO GU 2022 e pubblicati contestualmente sul New England Journal of Medicine i risultati dello studio ARASENS, che ha valutato la darolutamide in un setting di malattia ormono-sensibile, ma in presenza di metastasi.

Dal 2017 ad oggi, questo setting, che già aveva vissuto un’importante “rivoluzione” con la dimostrazione di efficacia del docetaxel in aggiunta alla terapia di deprivazione androgenica, ha visto in rapida successione i risultati di diversi studi randomizzati, che hanno valutato l’efficacia di vari farmaci ormonali di nuova generazione.

Lo studio ARASENS era un trial di fase III, multicentrico, internazionale.
Lo studio prevedeva l’inclusione di pazienti affetti da neoplasia prostatica, metastatica, ormono-sensibile. I pazienti erano randomizzati, in rapporto 1:1, a uno di 2 bracci di trattamento.

I pazienti assegnati al braccio sperimentale ricevevano darolutamide (alla dose di 600 mg 2 volte al giorno) in aggiunta alla terapia di deprivazione androgenica e al docetaxel.

I pazienti assegnati al braccio di controllo ricevevano terapia di deprivazione androgenica, docetaxel e placebo invece della darolutamide.

Endpoint primario dello studio era la sopravvivenza globale (overall survival, OS).

L’analisi primaria dello studio è stata condotta su 1306 pazienti, dei quali 651 assegnati al braccio sperimentale con darolutamide e 655 assegnati al braccio di controllo con plaebo.

Lo studio prevedeva la possibilità di includere sia pazienti con malattia metastatica già alla diagnosi, sia pazienti con una diagnosi di malattia metastatica eventualmente successiva a precedente trattamento locale. La grande maggioranza dei pazienti randomizzati (86.1%) aveva malattia metastatica al momento della diagnosi iniziale.

L’analisi per l’endpoint primario è stata condotta con follow-up aggiornato a fine ottobre 2021.

L’analisi di sopravvivenza globale ha evidenziato una riduzione significativa del rischio di morte per I pazienti assegnati al trattamento con darolutamide. La riduzione è stata del 32.5% (hazard ratio 0.68, intervallo di confidenza al 95% 0.57 - 0.80; p<0.001).

La sopravvivenza mediana non è stata ancora raggiunta nel braccio sperimentale ed à stata pari a 48.9 mesi nel braccio di controllo.

La probabilità di sopravvivenza a 48 mesi dalla randomizzazione è risultata pari al 62.7% nel braccio sperimentale e al 50.4% nel braccio di controllo.

Le analisi di sottogruppo pre-specificate hanno dato risultati consistenti con l’endpoint primario, con un beneficio significativo a favore del braccio trattato con darolutamide.

In particolare, il beneficio in sopravvivenza è stato simile sia nei casi con malattia metastatica alla diagnosi (Hazard Ratio 0.71; intervallo di confidenza al 95% 0.59-0.85) sia nei casi con recidiva metastatica di malattia dopo diagnosi precedente (Hazard Ratio 0.61; intervallo di confidenza al 95% 0.35-1.05).

Un’elevata percentuale di pazienti nel braccio di controllo (75.6%) e nel braccio sperimentale (56.8%) ha ricevuto trattamenti antitumorali successivi di provata efficacia. Nel dettaglio, il 66& dei pazienti assegnati al braccio di controllo ha ricevuto un farmaco ormonale di nuova generazione successivamente alla progressione.

Le analisi degli endpoint secondari hanno dato risultati consistenti con l’endpoint primario, con un beneficio significativo a favore del braccio trattato con darolutamide.

Ad esempio, la darolutamide è risultata associata a un significativo prolungamento nel tempo di comparsa della resistenza alla castrazione (mediana non raggiunta vs 19 mesi, Hazard Ratio 0.36; intervallo di confidenza al 95% 0.30-0.42; p < 0.001).

Inoltre, la darolutamide è risultata associata a un significativo prolungamento nel tempo alla progressione del dolore (mediana non raggiunta vs. 27.5 mesi, Hazard Ratio 0.79; intervallo di confidenza al 95% 0.66-0.95; p = 0.01).

Infine, la darolutamide è risultata associata a un significativo miglioramento nel tempo al primo evento scheletrico sintomatico (mediana non raggiunta in entrambi i bracci, Hazard Ratio 0.71; intervallo di confidenza al 95% 0.54-0.94; p = 0.02).

L’incidenza di eventi avversi è risultata simile nei 2 gruppi. Dal punto di vita temporale, l’incidenza di eventi avversi è risultata massima (in entrambi i gruppi) nel periodo di trattamento concomitante alla somministrazione della chemioterapia.

Nel complesso, la frequenza di eventi avversi di grado 3-4 è risultata pari al 66.1% nel braccio sperimentale e pari al 63.5% nel braccio di controllo. L’evento avverso di grado 3-4 più comune è risultato la neutropenia, che si è verificata in circa un terzo dei pazienti in entrambi i bracci.

Sulla base dei risultati sopra sintetizzati, gli autori commentano positivamente lo studio, sottolineando il chiaro beneficio in sopravvivenza globale, nonostante la somministrazione di trattamenti successivi in un’elevata percentuale di pazienti anche nel braccio di controllo, e il risultato coerente ottenuto negli altri endpoint secondari.

Nel complesso, è stato interpretato positivamente anche il profilo di tollerabilità del trattamento sperimentale, sottolineando che la proporzione di eventi avversi, condizionata in larga misura dalla chemioterapia, è risultata simile nei 2 bracci dello studio.

Le evidenze a supporto dell’impiego di un agente ormonale di nuova generazione in aggiunta alla terapia di deprivazione androgenica sono ormai molteplici. I primi studi, condotti prima della diffusione del docetaxel come standard in questo setting, erano stati condotti “in assenza di chemioterapia”, proponendo i farmaci ormonali come alternative alla chemioterapia stessa. Negli ultimi anni, i bracci di controllo degli studi sono stati necessariamente adeguati al nuovo standard, e quindi stiamo vedendo risultati di studi nei quali il farmaco ormonale di nuova generazione è stato aggiunto al docetaxel (almeno nei pazienti eleggibili al trattamento chemioterapico).

In questo setting si è verificato quindi quello che in anni recenti sta avvenendo anche in altri setting oncologici: diversi trattamenti producono efficacia per la medesima indicazione, in rapida successione, quasi sempre senza la disponibilità di confronti diretti tra loro.

Vale la pena di ricordare che, alla data di questo tweet (19 febbraio 2022), in Italia non abbiamo ancora la possibilità di impiegare, in questo setting, non solo la darolutamide testata nel più recente degli studi, ma nessuno dei farmaci ormonali di nuova generazione (neanche l’abiraterone, l’enzalutamide o l’apalutamide, nonostante i dati di alcuni di questi farmaci siano disponibili ormai da vari anni). Ogni volta che commentiamo il dato di sopravvivenza globale ottenuto in questi studi, con un netto vantaggio a favore dell’impiego dei farmaci di nuova generazione, vale la pena di ricordare questo “gap” tra la produzione delle evidenze scientifiche, le decisioni delle autorità regolatorie centrali e l’effettiva disponibilità dei trattamenti nella pratica clinica.

Fino a quando erano disponibili solo i risultati degli studi di aggiunta dei farmaci ormonali alla terapia di deprivazione androgenica, in assenza di docetaxel, le terapie ormonali di nuova generazione sono state viste in questo setting come un’alternativa alla chemioterapia. La mancanza di opzioni praticabili nella pratica clinica è stata quindi particolarmente critica per i pazienti non eleggibili alla chemioterapia. Ora che abbiamo studi, come ARASENS; che dimostrano un’efficacia aggiuntiva rispetto alla chemioterapia, la mancanza di opzioni praticabili danneggia potenzialmente tutti i pazienti, anche coloro che possono beneficiarsi di una chemioterapia.

Naturalmente ora la parola passa alla comunità scientifica, per la migliore definizione dei sottogruppi di pazienti candidati a ricevere un trattamento più o meno “intensivo”, e per provare a chiarire alcuni aspetti non del tutto chiariti dal disegno degli studi disponibili (ad esempio, il quesito “complementare” relativo al valore aggiunto della chemioterapia in pazienti che ricevano un farmaco ormonale di nuova generazione).