Patologia genito-urinaria
Giovedì, 20 Gennaio 2022

Tumore dell'endometrio: nuovo standard di trattamento in seconda linea

A cura di Giuseppe Aprile

Fino ad oggi non c'era una chiara definizione del trattamento di seconda linea per donne con carcinoma endometriale avanzato. Il trial randomizzato KEYNOTE 775 testa pembolizumab e lenvatinib vs chemioterapia e definisce il nuovo gold standard. 

Makker V, Colombo N, Casado Herráez A, Santin AD, Colomba E, Miller DS, Fujiwara K, Pignata S, Baron-Hay S, Ray-Coquard I, Shapira-Frommer R, Ushijima K, Sakata J, Yonemori K, Kim YM, Guerra EM, Sanli UA, McCormack MM, Smith AD, Keefe S, Bird S, Dutta L, Orlowski RJ, Lorusso D; Study 309–KEYNOTE-775 Investigators. Lenvatinib plus Pembrolizumab for Advanced Endometrial Cancer. N Engl J Med. 2022 Jan 19. doi: 10.1056/NEJMoa2108330

Poca convinzione fino ad oggi nella scelta del trattamento di seconda linea da proporre a donne con carcinoma endometriale avanzato. Dopo il fallimento di un primo trattamento con carboplatino e paclitaxel - scelto sulla base dei risultati finali del trial GOG 209 (Miller D, et al. J Clin Oncol 2020) - la scelta è ancorata a una scelta personalizzata. In questo setting, infatti, la prognosi rimane molto severa e le opzioni disponibili poche e gravate da scarsa attività e considerevole tossicità.

Sebbene si stiano studiando nuove opzioni nel setting di malattia avanzata - che spaziano dall'immunoterapia (soprattutto in pazienti selezionate per instabilità microsatellitare, mutazioni di PoleE o alto TMB) ai trattamenti personalizzati su driver molecolare (selinexor come inibitore di exportina I, WEE-1 inibitori, ecc...) - il trattamento di linea successiva non ha ancora una chiara definizione.

In questo contesto vanno letti e contestualizzati i risultati del trial randomizzato KEYNOTE 775, nel quale oltre 700 pazienti con malattia avanzata e in progressione ad un primo trattamento platinum-based sono state randomizzate 1:1 a ricevere chemioterapia a scelta dell'investigatore (doxorubicina o taxano) vs la combinazione di pembrolizumab (200 mg flat dose q21) e lenvatinib (20 mg/die per os). I due co-primary endpont dello studio erano la PFS valutata in modo centrale e indipendente e la sopravvivenza overall.

 

Tra le 827 pazienti randomizzate nel trial (411 nel braccio sperimentale vs 416 in quello di chemioterapia), circa il 15% erano MSI deficient.

L'età mediana delle pazienti incluse era 65 anni e il 60% delle pazienti aveva PS basale ottimale. Non vi erano differenze tra i bracci di trattamento per tipo/numero di linee precedenti di terapia antiblastica o di trattamento ormonale. Come atteso, l'istotipo endometrioide era presente nel 60% dei casi e quello sieroso nel 25% circa.

La PFS mediana si è dimostrata di tutto vantaggio per il braccio sperimentale sia nell'intera popolazione (7.2 vs 3.8 mesi, HR 0.56, 95%CI 0.47-0.66, p<0.0001) che nella malattia pMMR (6.6 vs 3.8 mesi, HR per progressione o morte 0.60), con curve che indipendentemente dalla popolazione considerata si staccavano molto presto.

Analogamente, si è documentato un vantaggio in sopravvivenza overall sia per l'intera popolazione (mOS 18.3 vs 11.4 mesi, HR 0.62; 95%CI, 0.51-0.75, p<0.001) che in quella pMMR (17.4 vs 12.0 mesi, HR 0.68).

Sebbene fossero censite più tossicità severe nel braccio di donne esposte alla terapia sperimentale vs quelle esposte alla chemioterapia (in particolare più ipertensione e tossicità gastrointestinali e metaboliche, ma certamente meno episodi di neutropenia), non si registravano sostanziali differenze in qualità di vita, misurata con QLQ-C30, dato importante in questo setting di malattia.

 

Lo studio traccia una linea netta con il passato definendo un potenziale nuovo standard di trattamento in seconda linea.

Il trial ha una elevata "internal validity" centrando tutti gli endpoint predefiniti e riporta risultati simili a favore del vantaggio della nuova combinazione vs la chemioetrapia, indipendentemente dai sottogruppi clinici o molecolari considerati. Nel contempo, lo studio ha anche una buona validità esterna, con risultati in linea non solo a quelli del precedente fase II KEYNOTE 146, ma anche a quelli di altri trial randomizzati che hanno testato nuovi agenti (ixabepilone e zoptarelin) in un setting simile.

La tossicità è stata maggiore nel braccio sperimentale e si nota soprattutto una elevata incidenza di ipertensione e di ipotiroidismo; se una dose iniziale di 14 mg/die di lenvatinib possa ridurre il profilo di tossicità senza impattare l'efficacia non è noto, sebbene due terzi dei pazienti che hanno sperimentato effetti collaterali di maggiore intensità abbiano richiesto una riduzione di dose.