Patologia genito-urinaria
Sabato, 23 Marzo 2024

Tumore localmente avanzato della cervice uterina: l’immunoterapia abbinata alla chemioradioterapia permette di migliorare l’outcome?

A cura di Giuseppe Aprile

Da circa 25 anni il trattamento standard per il tumore della cervice uterina localmente avanzato è stato la chemioradioterapia seguita dal trattamento con brachiterapia. Ora il trial ENGOT-cx11/GOG-2047/KN-A18 si propone di verificare se la combinazione del trattamento standard con pembrolizumab possa stabilire un nuovo riferimento.

Lorusso D, et al. Pembrolizumab or placebo with chemoradiotherapy followed by pembrolizumab or placebo for newly diagnosed, high-risk, locally advanced cervical cancer (ENGOT-cx11/GOG-3047/KEYNOTE-A18): a randomised, double-blind, phase 3 clinical trial. Lancet 2024. Epub ahead of print Mar 20.

Nonostante la terapia abbia un potenziale intento di cura, circa il 50% delle pazienti trattate con chemioradioterapia (CRT) e brachiterapia per carcinoma della cervice recidiva, in particolare quando vi sono linfonodi interessati dalla malattia alla diagnosi.

Nota l’efficacia dell’immunoterapia nelle fasi avanzate di malattia ed il possibile effetto sinergico dell’utilizzo di PD-1 inibitori con la radioterapia, lo studio multicentrico ENGOT-cx11/GOG-2047/KN-A18 vuole verificare se l’aggiunta del pembrolizumab al trattamento standrad possa migliorare i risultati del trattamento.


Il trial è stato disegnato come un fase III randomizzato in doppio cieco, e condotto in 176 centri worldwide. I bracci di trattamento erano la CRT standard + brachiterapia con o senza pembrolizumab (5 cicli q21 alla dose flat di 200 mg durante la CRT concomitante, poi 15 cicli alla dose di 400 mg somministrati ogni 6 settimane). La chemioterapia di associazione prevedeva cisplatino alla dose settimanale di 40 mg/mq. Le pazienti eleggibili avevano un carcinoma squamoso, adenocarcinoma o carcinoma misto della cervice uterina in stadio IB-IIB secondo FIGO 2014 con linfonodi positivi ovvero in stadio III-IVA indipendentemente dall’interessamento linfonodale. I fattori di stratificazione erano la tipologia di RT ricevuta (modulata con IMRT o VMAT vs non modulata), la dose totale (la dose totale (> 70 Gy vs < 70 Gy totali in frazioni da 2 Gy) e la stadiazione iniziale.

Endpoint primari erano la PFS e la OS, nella popolazione ITT. Nel follow-up era previsto adeguato imaging radiologico ogni 12 settimane durante i primi due anni di follow-up, quindi ogni 24 settimane durante il terzo anno e poi annualmente.

In circa due anni e mezzo sono state randomnizzate 1060 pazienti (529 al trattamento sperimentale con immunoterapia, 531 a quello standard con placebo) e i risultati sono stati pubblicati dopo un follow-up mediano di 18 mesi in entrambi i gruppi di trattamento.


Le pazienti erano ben bilanciate tra i bracci del trial per ECOG PS, stadiazione iniziale (55% in stadio III-IVA) e per coinvoglimento linfonodale. Da segnalare che in entrambi i bracci del trial le pazienti ricevevano RT modulata con IMRT/VMAT (90% dei casi) e con una dose superiore ai 70 Gy (90% dei casi).


In nessuno dei due bracci è stata raggiunta la PFS mediana; i tassi di progression-free survival erano 68% nel braccio sperimentale vs 57% in quello standard a 24 mesi con un HR per progressione o morte di 0.70 (95%CI 0.55-0.89, p=0.002). Nell'analisi di sottogruppo il vantaggio del trattamento con immunoterapia era particolarmente evidente per pazienti con neoplasia in stadio III-IVA.
Il tasso di sopravvivenza overall stimato a 24 mesi era del 87% nel braccio sperimentale vs 81% in quello di controllo (+6%, HR 0.73, 95%CI 0.49-1.07), ma il dato era poco informativo per un basso numero di eventi.
L’analisi di safety, condotta nella popolazione che aveva ricevuto almeno una dose di trattamento sperimentale o placebo, non ha rivelato segnali di allarme rispetto all’atteso.

Sebbene il follow-up sia ancora limitato nel tempo, lo studio - molto ben disegnato e condotto con una numerosità campionaria elevata - è indubbiamente positivo: dimostra che l’aggiunta di pembrolizumab durante e dopo il completamento del trattamento standard migliora l’outcome, riducendo del 30% la probabilità di progressione e morte a 2 anni, un dato statisticamente significativo e clinicamente rilevante.

I decessi sono ancora pochi per potere trarre una conclusione definitiva sul possibile vantaggio in sopravvivenza overall.

Il dato del trial ENGOT-cx11/GOG-2047/KN-A18 si allinea a quello del KN-826 che ha evidenziato beneficio per il pembrolizumab aggiunto al trattamento standard anche nella malattia metastatica (Colombo N, et al. N Engl J Med 2021), ma ha risultati differenti da quello di un precedente trial randomizzato. Infatti, rimane da stabilire se il fallimento dello studio CALLA (Monk BJ, et al. Lancet Oncol 2023) che ha testato durvalumab in una simile popolazione di pazienti con carcinoma della cervice uterina localmente avanzato sia legato a una differente popolazione inclusa o a un differente effetto del farmaco.

Complimenti agli autori italiani, sempre al top della ricerca mondiale anche nella patologia ginecologica.