Patologia genito-urinaria
Giovedì, 31 Agosto 2023

Tumore renale, setting adiuvante: (n)everolimus

A cura di Giuseppe Aprile

Il trial EVEREST testa in adiuvante l'inibitore di mTOR già approvato in seconda linea. Risultati deludenti, che si affiancano a quelli di altre molecole orali.

Ryan CW, et al Adjuvant everolimus after surgery for renal cell carcinoma (EVEREST): a double-blind, placebo-controlled, randomised, phase 3 trial. Lancet 2023 Jul 28:S0140-6736(23)00913-3

La controversa storia del trattamento adiuvante del tumore renale si arricchisce di un nuovo tassello.

Il trattamento postoperatorio con TKI, infatti, non è di corrente pratica clinica per dati discutibili e un profilo rischio/beneficio non sempre favorevole (es:  trial ASSURE ha testato sorafenib o sunitinib in pazienti ad alto rischio, studio S-TRAC  con sunitinib, trial PROTECT con pazopanib, trial ATLAS con axitinib e studio SORCE con sorafenib). L'immunoterapia è approvata da FDA e da EMA sulla base del trial positivo KEYNOTE-564, ma sebbene lo studio dimostri un vantaggio per la popolazione overall (n= 994 pazienti), la rimborsabilità del pembrolizumab in Italia è stata approvata da AIFA (determina 476/2023) solo per la popolazione M1 NED (n=58 pazienti) per un migliore HR complessivo in disease-free survival in questa sottopopolazione: 0.29 a favore del braccio sperimentale (95%CI 0.12-0.69) vs 0.74 nella popolazione M0 (95%CI 0.57-0.96) sempre a favore del braccio sperimentale.

In questo contesto è pubblicato in extenso il trial EVEREST, un ampio studio di fase III randomizzato in doppio cieco disegnato dallo SWOG Cancer Research Network nel quale i pazienti radicalmente operatoi per un carcinoma renale a rischio di recidiva intermedio-elevato o molto elevato erano randomizzati 1:1 a everolimus 10 mg/die vs placebo per un anno di trattamento. Il primary endpoint era la recurrence-free survival.

Sono stati randomizzati 1.545 pazienti (istologia a cellule chiare nell'85% dei casi, età mediana 58 anni, ECOG PS 0 nell'80% dei casi) e assegnati al braccio sperimentale con everolimus (n=775) ovvero a quello standard con placebo (n=770); di essi rispettivamente 755 e 744 erano eleggibili per essere inclusi nella analisi primaria di efficacia.

Con un follow-up mediano di circa 75 mesi (IQR 61–92), la probabilità di recurrence-free survival era più elevata nel braccio sperimentale vs placebo (5-year RFS 67% [95%CI 63–70] vs 63% [60–67]; stratified log-rank p=0·050; stratified HR 0.85, 95%CI 0·72–1·00; p=0·051), ma senza rispettare i parametri statistici prestabiliti.

La RFS era inoltre maggiore con everolimus solo per pazienti con rischio molto elevato (182 eventi vs 212 eventi; RFS stimata a 5 anni 57% vs 51%, HR 0·79, 95% CI 0·65–0·97; p=0·022), ma non in quelli con rischio intermedio-alto (identico numero di eventi, HR 0.99, 95%CI  0·73–1·35; p=0·96).

 

Lo studio globale EVEREST che ha testato everolimus in setting adiuvante dopo nefrectomia radicale è risultato negativo, non suggerendo un potenziale beneficio del trattamento con farmaco vs placebo in termini di RFS (accettata da FDA come endpoint primario per pembrolizumab e sunitinib, sebbene non sia stato dimostrato il vantaggio in OS).

Il tasso di interruzione dell'everolimus in setting adiuvante (circa 40%) è simile a quello riportato per TKI testati in altri trial clinici.

L'interpretazione generale dei risultati nel trattamento adiuvante di pazienti operati per carcinoma renale rimane quindi complessa: necessita di una certa personalizzazione, ma si rimane convinti che sia necessario selezionare meglio la popolazione in cui testare nuovi farmaci, limitando l'inclusione negli studi a pazienti con rischio particolarmente elevato.