Patologia genito-urinaria
Giovedì, 07 Marzo 2024

Tumore uroteliale metastatico: enfortumab vedotin e pembrolizumab rivoluzionano il trattamento di prima linea

A cura di Giuseppe Aprile

Il trial EV-302 confronta in prima linea la terapia standard (chemioterapia platinum-based) con una combinazione senza chemioterapici classici (enfortumab vedotin + pembrolizumab). La maggiore efficacia del nuovo regime è schiacciante e definisce un nuovo standard di cura.

Powles T, et al. Enfortumab Vedotin and Pembrolizumab in Untreated Advanced Urothelial Cancer. N Engl J Med. 2024 Mar 7;390(10):875-888

Tre decenni dopo l'introduzione del MVAC e 20 anni dopo la definizione dello standard terapeutico della doppietta con platino e gemcitabina (di poco migliorato dall'aggiunta di nivolumab) il trattamento di prima linea del tumore uroteliale avanzato cambia nuovamente.

Lo studio EV-302 è un importante trial di fase III randomizzato che confronta in quasi 900 pazienti la terapia classica (doppietta con platino, dove la scelta tra cisplatino o carboplatino era soggetta ai criteri di eleggibilità per il primo farmaco) vs la combinazione innovativa senza chemioterapia. Il braccio sperimentale del trial, infatti, prevedeva la combinazione di enfortumab vedotin (EV) - un ADC diretto contro la nectina 4 somministrato alla dose di 1.25 mg/kg di peso corporeo nei giorni 1,8 q21 - e di pembrolizumab, noto immunoterapico PD-1 inibitore somministrato in flat dose di 200 mg ogni tre settimane.

Tra i criteri di eleggibilità vi erano l'avere un tumore uroteliale avanzato e non resecabile ovvero metastatico non precedentemente trattato, PS 0-1 secondo ECOG e parametri di funzionalità midollare e renale adeguati.

Lo studio prevedeva il possibile inserimento di varie istologie tumorali, sede del tumore primitivo (upper/lower) e sedi di metastasi a distanza; inoltre erano analizzate l'espressione di PD-L1 con CPS score (cut-off 10) e dell'espressione immunoistochimica di nectina-4 determinata con H-score.

Endpoint primari del trial erano la progression-free survival (con revisione blinded indipendente) e la sopravvivenza overall.

I dati clinici, presentati in plenaria ad ESMO 2023 vedono ora l'attesa pubblicazione in extenso sul N Engl J Med.

Nello studio 886 pazienti sono stati randomizzati 1:1 a ricevere chemioterapia tradizionale (n=444) o la terapia sperimentale (n=442) con EV + pembrolizumab; i dati sono stati pubblicati dopo un follow-up mediano di circa 17 mesi, non particolarmente prolungato.

I dati non lasciano tuttavia dubbi sulla maggiore efficacia della combinazione sperimentale vs la terapia standard: sono raddoppiate sia la PFS mediana (12.5 mesi vs 6.3 mesi; HR per progressione/morte 0.45; 95%CI 0.38-0.54; P<0.001) che la sopravvivenza overall mediana (31.5 mesi vs 16.1 mesi; HR 0.47; 95%CI 0.38 -0.58; P<0.001). Interessante notare che le curve di OS si separano precocemente e nella analisi prepianificata si conferma il beneficio in ogni sottogrupo analizzato.

Al landmark di 18 mesi la differenza assoluta nel PFS rate è del 32% (43.9% nel bravvio con EV+ pembrolizumab vs 11.2% in quello con chemioterapia) mentre quella nella chance di essere in vita è del 22% (69.5% vs 44.7%).

Il numero mediano di cicli somministrati è stato di 12 nel braccio sperimentale (range, 1-46) e 6 in quello standard (range, 1-6); rimane un differente profilo di tossicità con più elevata incidenza nel braccio sperimentale di neuropatia sensoriale periferica (50% grado 1-2, 3.5% grado 3-4), iperglicemia (11% grado 1-2, 5% grado 3-4) e rash cutaneo.

Dopo tre decadi di trattamento foindamentalmente imperniato sulla chemioterapia platinum-based (+/- nivolumab upfront nei cisplatino-eleggibili e avelumab come strategia di switch maintenance utilizzata in circa il 30% dei pazienti) il trial EV-302 stabilisce un nuovo orizzonte.

Considerando assieme il vantaggio in risposte obiettive (70% vs 45%, con un notevole 30% di risposte complete) e la superiorità in PFS e in OS (in entrambi i casi con HR inferiori a 0.5) osservata in modo consistente in tutti i sottogruppi analizzati restano pochi dubbi. Nel complesso i risultati certamente convincenti provenienti da un trial solido per numerosità campionaria e ben condotto dal punto di vista metodologico definiscono un (futuro) nuovo standard di cura per pazienti con neoplasia uroteliale avanzata/metastatica.

Molte questioni tuttavia restano aperte. Rimane da stabilire quale sia lo spazio per il trattamento antiblastico in questa patologia, quanto sia necessario proseguire con la terapia di prima linea dopo avere ottenuto una risposta e come gestire al meglio le tossicità della nuova combinazione (in particolare la neurotossicità). Certamente secondario di fronte a risultati clinicamente rilevanti, ma non meno importante, è il tema dei costi da sostenere per il trattamento di prima linea (aumento previsto del 400%).

Complimenti al collega Giuseppe Fornarini, investigatore italiano che compare come co-autore nella main publication.