Patologia genito-urinaria
Sabato, 27 Luglio 2019

Un passo verso la medicina di precisione anche nel tumore della vescica

A cura di Massimo Di Maio

Uno studio di fase II documenta interessante attività (e non trascurabile tossicità) di erdafitinib, farmaco target, nei casi selezionati per la presenza di alterazioni di FGFR. Risultati preliminari, ma tanto promettenti da meritare le pagine del NEJM.

Loriot Y, Necchi A, Park SH, Garcia-Donas J, Huddart R, Burgess E, Fleming M, Rezazadeh A, Mellado B, Varlamov S, Joshi M, Duran I, Tagawa ST, Zakharia Y, Zhong B, Stuyckens K, Santiago-Walker A, De Porre P, O'Hagan A, Avadhani A, Siefker-Radtke AO; BLC2001 Study Group. Erdafitinib in Locally Advanced or Metastatic Urothelial Carcinoma. N Engl J Med. 2019 Jul 25;381(4):338-348. doi: 10.1056/NEJMoa1817323. PubMed PMID: 31340094.

La prognosi del tumore della vescica (o urotelio) avanzato rimane purtroppo condizionata dalla modesta attività della chemioterapia, e anche la recente introduzione dei farmaci immunoterapici ha comportato la dimostrazione di un beneficio (in termini di risposte obiettive e controllo di malattia) purtroppo limitato ad una minoranza dei pazienti trattati.

Il tumore dell’urotelio è frequentemente caratterizzato dalla presenza di alterazioni (mutazioni o fusioni) del gene che codifica per il Fibroblast growth factor receptor (FGFR). Tali alterazioni sono identificate in circa il 20% dei casi di malattia avanzata. Evidenze recenti suggeriscono, tra l’altro, che tali casi siano anche caratterizzati da minore sensibilità all’immunoterapia. Questo rende particolarmente auspicabile l’identificazione di nuove opzioni terapeutiche in tali pazienti.

L’erdafitinib è una piccola molecola, inibitore di tirosino chinasi (TKI) di FGFR1–4. Modelli preclinici e I risultati dello studio di fase 1 hanno documentato interessante attività di tale farmaco nei casi selezionati per la presenza di alterazioni di FGFR.

Sulla base di tali promettenti premesse, è stato disegnato uno studio di fase II, recentemente pubblicato dal New England Journal of Medicine.

Lo studio di fase II prevedeva l’eleggibilità di pazienti con carcinoma uroteliale localmente avanzato non resecabile, o metastatico, con presenza di alterazioni molecolari del gene FGFR. Tutti i pazienti avevano avuto progressione di malattia dopo almeno 1 linea di chemioterapia, oppure entro 12 mesi dall’eventuale trattamento neoadiuvante o adiuvante. Era ammesso il precedente trattamento con immunoterapia.

Il disegno iniziale dello studio prevedeva una fase di randomizzazione a erdafitinib somministrato in una schedula intermittente (10 mg al giorno, a settimane alterne), oppure in una schedula continua (6 mg al giorno senza interruzioni), allo scopo di selezionare la dose più adatta.

Sulla base dei risultati di un’analisi ad interim, è stata scelta la schedula a somministrazione continua (senza interruzioni predefinite), scegliendo una dose di 8 mg al giorno, più alta rispetto alla dose di 6 mg inizialmente testata nella schedula continua. Inoltre, la schedula prevede la possibilità di incremento della dose quotidiana, dopo 14 giorni di trattamento, a 9 mg, sulla base dell’assenza di tossicità e del livello di fosfatemia raggiunto (identificando come livello di fosfatemia soglia 5.5 mg/dl, e aumentando la dose nei pazienti che non avessero raggiunto tale soglia, considerata un biomarker farmacodinamico di attività del farmaco).

Endpoint primario dello studio era la proporzione di risposte obiettive.

Endpoint secondari principali erano la sopravvivenza libera da progressione, la sopravvivenza globale e la durata della risposta.

Complessivamente, 99 pazienti sono stati trattati con la schedula selezionata.

Il 43% di tali pazienti aveva ricevuto almeno 2 linee di precedente trattamento, il 79% aveva metastasi viscerali e il 53% aveva una clearance della creatinina inferiore a 60 ml/min.

E’ stata registrata una proporzione di risposte obiettive pari al 40%: nel dettaglio, 3% di risposte complete e 37% di risposte parziali.

Nel sottogruppo di 22 pazienti precedentemente trattati con immunoterapia, è stata registrata una proporzione di risposte obiettive pari al 59%.

La sopravvivenza libera da progressione mediana è risultata pari a 5.5 mesi.

La sopravvivenza globale mediana è risultata pari a 13.8 mesi.

La tossicità del trattamento non è stata trascurabile: il 46% dei pazienti ha riportato un evento avverso correlato al trattamento di grado 3 o grado 4, con relative frequenti riduzioni di dose. Tra gli eventi avversi severi più frequenti, vanno segnalate l’iponatriemia, la stomatite, l’astenia, la sindrome mano-piede, la distrofia ungueale.

Il 13% dei pazienti ha interrotto definitivamente il trattamento sperimentale a causa del verificarsi di un evento avverso. Non sono state registrate, peraltro, morti attribuite alla tossicità del trattamento.

 

Anni fa, uno studio di fase II con la risposta obiettiva come endpoint primario non sarebbe stato pubblicato dal New England Journal of Medicine, ma negli ultimi tempi, come è ben noto, le cose sono cambiate, sia in termini di risonanza degli studi di fase II che di potenziali implicazioni regolatorie dei loro risultati.

Tale cambiamento si presta a vari tipi di commento. Alcuni aspetti del cambiamento sono sicuramente positivi: il veloce miglioramento delle conoscenze sulla biologia dei tumori negli ultimi anni si è unito alla disponibilità di farmaci sperimentali attivi contro i rispettivi bersagli, e i risultati ottenuti in questo tipo di studi aumentano (non solo negli oncologi ma anche nei lettori non oncologi) la fiducia nell’innovazione terapeutica in oncologia, nonché nell’applicazione dei principi della medicina di precisione anche per i pazienti affetti da tumore.

In setting come quello dei pazienti con neoplasia uroteliale avanzata, che già abbiano fallito uno o più trattamenti, i risultati attesi con le terapie disponibili nella pratica clinica sono purtroppo veramente modesti, e quindi anche uno studio di fase II che evidenzi una promettente percentuale di risposte obiettive è da considerarsi meritevole della massima attenzione.

I risultati associati alla somministrazione di erdafitinib sono, in sintesi: 40% di risposte obiettive, 5 mesi e mezzo di sopravvivenza libera da progressione mediana, quasi 14 mesi di sopravvivenza globale mediana. Come tradurre i risultati di questo studio nella definizione del valore del trattamento? La definizione del valore, naturalmente, va al di là degli obiettivi di uno studio di fase II. Peraltro, l’elevata attività, particolarmente promettente nel sottogruppo di pazienti che avevano ricevuto anche il trattamento immunoterapico, lascia ben sperare per erdafitinib, e per gli altri farmaci della classe.

Il rapporto tra benefici e rischi associati al trattamento, in considerazione della tossicità non trascurabile riportata con l’impiego del farmaco, sarà meglio valutabile in studi randomizzati.

Le premesse, peraltro, sono molto incoraggianti e il tumore dell’urotelio si accinge ad aggiungersi alla lista di neoplasie per le quali le decisioni nella pratica clinica potranno basarsi anche sulla caratterizzazione molecolare del tumore.