Patologia mammaria
Martedì, 08 Luglio 2025

Allattare senza timore dopo una diagnosi di carcinoma mammario in giovani portatrici di mutazione BRCA

A cura di Fabio Puglisi

L’allattamento rappresenta un momento cruciale nella vita di una madre. Per le donne portatrici di mutazione BRCA e alle quali è stato diagnosticato un carcinoma mammario, questa scelta è spesso accompagnata da dubbi e paure: è sicuro allattare dopo il trattamento oncologico? Esistono rischi aumentati di recidiva? In assenza di dati solidi, la consulenza clinica resta spesso incerta, lasciando le pazienti sospese tra desiderio di maternità e timori per la propria salute. Uno studio internazionale ha provato a colmare questa lacuna, con l’ambizione di fornire evidenze scientifiche robuste su un tema fino ad oggi scarsamente esplorato. Migliaia di giovani donne BRCA carrier sono state seguite nel tempo, in una delle analisi retrospettive più ampie mai condotte su questo argomento.

Blondeaux E, et al. Breastfeeding after breast cancer in young BRCA carriers. J Natl Cancer Inst 2025; (Epub ahead of print)

Le donne giovani portatrici di mutazione germinale BRCA1 o BRCA2, a cui è stato diagnosticato un carcinoma mammario, affrontano un percorso oncologico complesso, ulteriormente complicato da implicazioni riproduttive. È noto che la gravidanza successiva al trattamento non comporta un aumento del rischio oncologico, neppure in portatrici BRCA. Tuttavia, l’allattamento resta una zona grigia: oltre ai limiti anatomici imposti da chirurgia e radioterapia, vi è il timore teorico di un possibile impatto sulla recidiva locale o sul rischio di neoplasie controlaterali.

Lo studio BRCA-BCY (NCT03673306) è una coorte retrospettiva internazionale e multicentrica, condotta in 78 centri ospedalieri. Sono state incluse donne con diagnosi di carcinoma mammario invasivo (stadio I–III) a ≤40 anni, tra il 2000 e il 2020, con mutazione germinale BRCA1 o BRCA2 confermata, che abbiano avuto una gravidanza con esito di parto dopo la diagnosi oncologica.

Delle 4732 pazienti eleggibili, 659 hanno avuto una gravidanza post-trattamento e 474 hanno avuto un parto. Di queste, 110 hanno allattato (61.8%) e 68 no (38.2%), mentre 225 avevano subito mastectomia bilaterale preventiva prima del parto e 71 presentavano dati mancanti sull’allattamento (escluse dalle analisi comparative).

L’endpoint primario era l’incidenza cumulativa di recidive loco-regionali e/o nuovi tumori mammari controlaterali. Gli endpoint secondari comprendevano la DFS (disease-free survival), l’OS (overall survival), e gli esiti ostetrici. L’analisi primaria ha confrontato i gruppi “breastfeeding” e “no breastfeeding” utilizzando modelli a rischio competitivo (modello di Fine-Gray) per eventi locoregionali e modelli di Cox per DFS e OS, con aggiustamenti per numerosi fattori confondenti (es. fumo, stato recettoriale, chirurgia preventiva). Le chirurgie preventive post-partum sono state trattate come covariate time-dependent.

Le analisi statistiche sono state effettuate con test a due code, soglia di significatività P<.05, senza correzione per confronti multipli.

Dopo un follow-up mediano di 7.0 anni dal parto, l’incidenza cumulativa a 7 anni di recidiva locoregionale e/o carcinoma controlaterale è risultata pari al 29% (IC95%: 20–40) nel gruppo che ha allattato e al 37% (IC95%: 23–49) nel gruppo che non ha allattato. Tuttavia, la differenza non era statisticamente significativa: sHR non aggiustato 0.84 (IC95%: 0.49–1.44; p=0.531); sHR aggiustato 1.08 (IC95%: 0.57–2.06; p=0.818).

Analogamente, non vi erano differenze nella DFS: 7-year DFS 62% (IC95%: 50–71) vs 54% (IC95%: 40–66); HR aggiustato 0.83 (IC95%: 0.49–1.41; p=0.492).

Anche l’OS non ha mostrato differenze significative: 7-year OS 92% (IC95%: 84–97) per chi ha allattato vs 93% (IC95%: 79–98) per chi non ha allattato; HR aggiustato 1.32 (IC95%: 0.31–5.66; p=0.708).

Le analisi per sottogruppi (tipo di mutazione BRCA, intervallo gravidanza-diagnosi, stato recettoriale, uso di chemioterapia) non hanno evidenziato interazioni significative.

In termini ostetrici, l’età mediana al parto era 35.4 anni nel gruppo che ha allattato. Nessuna differenza significativa è stata rilevata su prematurità, complicanze, o malformazioni. L’allattamento è risultato più frequente tra le donne nullipare alla diagnosi (61.8% vs 45.6%; p=0.026) e tra le non fumatrici (71.8% vs 57.4%; p=0.019).

Questo studio rappresenta il primo tentativo sistematico e su larga scala di valutare la sicurezza oncologica dell’allattamento dopo tumore mammario in giovani portatrici di mutazioni BRCA. I risultati sono rassicuranti: non è emersa alcuna associazione tra allattamento e aumento del rischio di recidiva locoregionale o neoplasia controlaterale, né vi sono differenze significative in termini di sopravvivenza libera da malattia o sopravvivenza globale. Sebbene l’incidenza complessiva di secondi eventi tumorali resti elevata in questa popolazione ad alto rischio, l’allattamento non sembra contribuire a questo rischio, aprendo la strada a un counselling più sereno e personalizzato.

La forza principale dello studio risiede nelle dimensioni della coorte e nella rete globale che ha permesso l’inclusione di pazienti da 78 centri. L’analisi è stata condotta con rigore metodologico, includendo modelli di rischio competitivo e aggiustamenti multivariati per molteplici fattori confondenti. Tuttavia, la natura retrospettiva comporta limiti intrinseci: l’assenza di dati su quale mammella sia stata usata per l’allattamento, l’impossibilità di valutare la quantità effettiva di latte prodotto e un tasso non trascurabile di missing data (~15%). Inoltre, il campione analizzabile si è notevolmente ridotto a causa dell’elevata frequenza di mastectomia bilaterale preventiva.

Nonostante questi limiti, lo studio colma una lacuna rilevante nella letteratura, offrendo dati preziosi per il counselling delle pazienti BRCA carrier.

Alla luce dei risultati, è legittimo affermare che l’allattamento può essere incoraggiato — anche unilateralmente — nelle donne che desiderano allattare dopo una gravidanza post-tumore. Questa evidenza potrebbe ridurre il ricorso a scelte chirurgiche affrettate, consentendo alle donne di posticipare interventi profilattici in funzione delle proprie priorità riproduttive, senza compromettere la prognosi oncologica.