Patologia mammaria
Martedì, 06 Agosto 2019

Giocare d’anticipo nella diagnosi di recidiva da carcinoma mammario

A cura di Fabio Puglisi

La biopsia liquida, declinata come ctDNA (DNA tumorale circolante), è in grado di anticipare la diagnosi di recidiva in pazienti con carcinoma mammario. Lo dimostra uno studio indipendente, prospettico, multicentrico.

Garcia-Murillas I, et al. Assessment of Molecular Relapse Detection in Early-Stage Breast Cancer. JAMA Oncol 2019 [Epub ahead of print]

 

Dopo una diagnosi di carcinoma mammario in stadio precoce, ad oggi, non si dispone di strumenti in grado di intercettare precocemente eventuali recidive di malattia.
L’analisi del DNA tumorale circolante (ctDNA) è stata proposta come metodo diagnostico molecolare da impiegare allo scopo.
Uno studio prospettico multicentrico con raccolta seriata di campioni è stato condotto in 5 Centri inglesi da novembre 2011 a ottobre 2016, e rivolto a pazienti con diagnosi di carcinoma mammario precoce, indipendentemente dallo stato dei recettori ormonali e di HER2.
Le pazienti potevano aver ricevuto un trattamento neoadiuvante (prima della chirurgia) o adiuvante (dopo la chirurgia).

In totale, fra le 170 donne che hanno partecipato, in 101 sono state identificate delle mutazioni, e queste pazienti hanno formato la coorte principale dello studio. Analisi secondarie sono state condotte in una coorte di 144 pazienti, costituita dalla popolazione principale (N=101) e da 43 pazienti che avevano partecipato a uno studio proof of principle.

Il tumore primitivo è stato sequenziato al fine di identificare mutazioni somatiche, e saggi personalizzati tumore-specifici di digital polymerase chain reaction (dPCR) sono stati effettuati per la ricerca di tali mutazioni in campioni seriati di plasma ottenuti ogni 3 mesi per il primo anno di follow-up e successivamente ogni 6 mesi.
In totale, sono state identificate 165 mutazioni somatiche: 78 pazienti (77.2%) con 1 mutazione e 23 pazienti (22.8%) con mutazioni multiple, con frequenza allelica mediana del 26%. Saggi di dPCR validati sono stati sviluppati per 150 mutazioni (91.5%) da 101 pazienti.

Endpoint primario: relapse-free survival analizzata con modelli “time-dependent” di regressione di Cox.

Nella coorte di 101 donne (età media 54 anni), ad un follow-up mediano di 35.5 mesi (range interquartile, 27.9-43.0 mesi), il rilievo di ctDNA durante il follow-up si è associato a un rischio di recidiva significativamente più elevato (hazard ratio, 25.2; 95%CI, 6.7-95.6; P < .001).
Inoltre, è stata trovata un’associazione tra il rilievo di ctDNA alla diagnosi, prima di qualsiasi trattamento, e la relapse-free survival (hazard ratio, 5.8; 95%CI, 1.2-27.1; P = .01).

Nella coorte combinata, il rilievo di ctDNA ha prodotto un lead time mediano di 10.7 mesi (95%CI, 8.1-19.1 mesi) confrontato con la diagnosi clinica ed è risultato associato alla recidiva in tutti i sottotipi di carcinoma mammario. In particolare, una metastasi a distanza extracranica è stata intercettata dal ctDNA in 22 su 23 pazienti (96%). Una localizzazione encefalica esclusiva è stata intercettata meno frequentemente mediante ctDNA (1 paziente su 6 [17%]), suggerendo la presenza di alcuni siti meno facilmente diagnosticabili attraverso l’analisi del ctDNA.

A seconda del sottogruppo di carcinoma mammario, le pazienti presentavano livelli significativamente diversi di ctDNA (P = .004):

  • Triple negative (mediana: 4.96 copie/mL; IQR 0-17 copie/mL),
  • HER2-positivi (mediana: 0.81 copie/mL; IQR 0-5.4 copie/mL)
  • Luminali HER2-negativi (mediana: 0 copie/mL; IQR, 0-4.4 copie/mL) 

Un riscontro di ctDNA alla diagnosi era anche associato alle dimensioni del tumore e al grado istologico.

Il riscontro di DNA tumorale circolante (ctDNA) nei campioni di pazienti con diagnosi di carcinoma mammario è associato a una maggiore probabilità di recidiva.
Livelli diversi di ctDNA sono stati rilevati prima della recidiva in 22 su 23 pazienti (95.7%) con metastasi a distanza extracraniche.
In pazienti con patologia triple negative sono stati riscontrati i livelli più alti di ctDNA alla diagnosi, verosilmente a causa del turnover cellulare più elevato tipico di tale sottogruppo.
L’associazione tra ctDNA alla diagnosi, prima di qualsiasi trattamento, e rischio di recidiva suggerisce potenziali sviluppi di tale analisi in termini prognostici, se opportunamente validata.

Se è vero che lo studio afferma la validità clinica dell’analisi di mutazioni nel ctDNA nell’intercettare precocemente una recidiva da carcinoma mammario, è altrettanto vero che rimane da dimostrarne l’utilità clinica. Infatti, in assenza di prove che il monitoraggio delle mutazioni con dPCR possa migliorare l’outcome per il paziente (e che non ci si trovi davanti a un rischio di lead time bias), i risultati dello studio non possono essere trasferiti in pratica clinica.