Patologia mammaria
Martedì, 05 Novembre 2019

È possibile evitare la chemioterapia: anche il più scettico ci crede

A cura di Fabio Puglisi

Mattoncino dopo mattoncino, cresce l’evidenza a sostegno di un trattamento chemo-free quale approccio di prima linea in pazienti con carcinoma mammario luminale (HR+/HER2-) in stadio avanzato.

Park YH,  et al. Palbociclib plus exemestane with gonadotropin-releasing hormone agonist versus capecitabine in premenopausal women with hormone receptor-positive, HER2-negative metastatic breast cancer (KCSG-BR15-10): a multicentre, open-label, randomised, phase 2 trial. Lancet Oncol 2019; published online.

Le linee guida internazionali sono uniformi nel raccomandare il trattamento endocrino quale strategia di prima linea in pazienti con carcinoma mammario avanzato luminale (HR+/HER2-). Le indicazioni valgono anche in presenza di malattia viscerale a meno che non ci si trovi davanti alla cosiddetta crisi viscerale, quadro clinico peraltro poco frequente, o se si ipotizzi una condizione di endocrinoresistenza.


Uno studio randomizzato di fase II, open-label, multicentrico, condotto su pazienti in stato premenopausale, ha confrontato i seguenti bracci di terapia (randomizzazione 1:1):

  • Braccio chemo-free (N=92): palbociclib 125 mg die nei gg 1-21 q28 + exemestane 25 mg die (continuativamente) + LHRH analogo (leuprorelina 3.75 mg s.c. q28)
  • Braccio chemioterapia (N=92): 1250 mg/m2 due volte die nei giorni 1-14 q21

Fra le principali caratteristiche della popolazione in studio:

  • 91 (50%) delle 178 pazienti incluse nell’analisi di efficacia e sicurezza erano naive in termini di terapia per la fase metastatica;
  • 153 (86%) pazienti erano ricadute in corso di tamoxifen o entro 12 mesi dal completamento della terapia adiuvante con tamoxifen;
  • 88 (49%) pazienti avevano malattia viscerale.

Efficacia: La progression-free-survival mediana è risultata più lunga nel braccio con palbociclib + terapia endocrina rispetto al braccio con capecitabina (20.1 mesi vs 14.4 mesi; hazard ratio 0.65, 95% IC 0.43–0·99, p=0.02).

Tollerabilità: è stato osservato un maggior tasso di neutropenia asintomatica, di grado 3-4, nel braccio con palbociclib + terapia endocrina rispetto al braccio con capecitabina (75% vs 16%), mentre altri effetti collaterali di qualsiasi grado sono risultati più comuni con la chemioterapia. Fra questi la nausea (34% vs 12%), la diarrea (39% vs 14%), l’hand-foot syndrome (100% vs 1%). Non si è verificata alcuna morte tossica.

Lo studio è la prima evidenza prospettica che mette a confronto una combinazione di terapia endocrina (exemestane + LHRH analogo) con un inibitore di CDK 4/6 (palbociclib) verso un approccio chemioterapico (capecitabina).

Sebbene sia emerso un vantaggio con il regime chemo-free, i risultati vanno interpretati con cautela. Si tratta, infatti, di uno studio di fase II di piccole dimensioni, open-label. Tutte caratteristiche, queste, che possono introdurre elementi confondenti.

La popolazione analizzata, inoltre, è asiatica. Pertanto, non possono essere escluse differenze con pazienti di razza caucasica. Va notato, infatti, che la dose intensity per il palbociclib è stata relativamente bassa (78% dell’atteso), probabilmente in relazione a una maggiore suscettibilità alla neutropenia.

Diversi studi stanno dimostrando un vantaggio in overall survival dall’impiego di inibitori di CDK4/6 sia in pre- (MONALEESA-7) che in post-menopausa (MONARCH 2, MONALEESA-3) e il beneficio è stato confermato anche in pazienti con malattia viscerale.
Queste osservazioni probabilmente sgombrano il campo dagli ultimi dubbi. Abbiamo regimi chemo-free che consentono un controllo adeguato di malattia anche in pazienti giovani e con malattia viscerale, le principali caratteristiche che inducevano i più scettici a utilizzare ancora la chemioterapia in luogo del trattamento endocrino.
Rimane da indagare quale sia il miglior approccio da seguire in presenza di crisi viscerale e/o di un’ipotetica minore endocrinoresponsività.