Patologia mammaria
Sabato, 27 Marzo 2021

L’altra faccia della medaglia… Come cambiano le pubblicazioni in oncologia?

A cura di Massimo Di Maio

Un’interessante analisi degli studi randomizzati di trattamenti sistemici in oncologia, pubblicati negli ultimi 10 anni, evidenzia alcuni aspetti problematici, dalla scelta non sempre inattaccabile dell’ endpoint primario alla diminuzione della ricerca accademica.

Del Paggio JC, Berry JS, Hopman WM, et al. Evolution of the Randomized Clinical Trial in the Era of Precision Oncology. JAMA Oncol. Published online March 25, 2021. doi:10.1001/jamaoncol.2021.0379

Spesso ci soffermiamo, grazie alla pubblicazione di importanti risultati delle sperimentazioni cliniche, sull’innovazione determinata da tali risultati, che rappresenta sicuramente il lato “positivo” della ricerca clinica. Per fortuna, negli ultimi anni non sono mancati tali risultati positivi, che hanno cambiato lo scenario terapeutico di numerosi tumori solidi.

Tuttavia, non sempre i risultati pubblicati sono caratterizzati da una chiara rilevanza clinica, e spesso gli studi presentano punti deboli dal punto di vista metodologico. E’ importante, quindi, mantenere un occhio critico nella valutazione delle pubblicazioni.

Obiettivo degli autori dell’analisi appena pubblicata da JAMA Oncology era la descrizione dei trend temporali nel disegno e nelle caratteristiche degli studi randomizzati condotti e pubblicati in ambito oncologico, allo scopo di confrontare gli anni più recenti con i periodi precedenti.

A tale scopo, hanno realizzato uno studio retrospettivo di coorte che ha preso in considerazione gli studi randomizzati di trattamento sistemico, condotti in 3 tipi di tumore solido (tumore della mammella, tumore del colon-retto, tumore del polmone non a piccole cellule), pubblicati in 7 riviste importanti (New England Journal of Medicine, Lancet, Lancet Oncology, JAMA, JAMA Oncology, Journal of Clinical Oncology, e Journal of the National Cancer Institute), nel periodo compreso tra il 2010 ed il 2020.

La selezione dei tipi di tumore e delle riviste è stata fatta allo scopo di poter confrontare i risultati con precedenti analisi condotte nei periodi compresi tra il 1995 ed il 2004 e tra il 2005 e il 2009.

Tra le caratteristiche degli studi prese in considerazione:

  • Dimensione del campione e dimensione del beneficio ipotizzato per il calcolo della numerosità campionaria
  • Endpoint primario dello studio (sopravvivenza globale, sopravvivenza libera da progressione, altro)
  • Sponsorizzazione dello studio (industria farmaceutica vs studi accademici)
  • Durata del follow-up al momento dell’analisi
  • Positività o negatività del risultato, e dimensione del beneficio osservato
  • Presenza di medical writer dichiarato nei ringraziamenti del lavoro

L’analisi ha incluso complessivamente 298 studi controllati randomizzati, dei quali 132 [44%] condotti nel tumore della mammella, 111 [37%] condotti nel tumore del polmone e 55 [19%] condotti nel tumore del colon-retto. I trattamenti sperimentali, come atteso, includevano diverse categorie di trattamento, tra cui farmaci a bersaglio molecolare (57%), farmaci citotossici (28%), terapia ormonale (5%) e immunoterapia (8%).

Un’elevata percentuale di studi (69%) era condotta in pazienti affetti da malattia avanzata (gli autori usano il termine “setting palliativo” in contrapposizione agli studi condotti in setting potenzialmente guaritivo come gli studi di terapia adiuvante o neoadiuvante).

Nel tempo, è nettamente cresciuta la percentuale di studi che hanno la sopravvivenza libera da progressione come endpoint primario. Tale endpoint rappresenta oggi quello più frequentemente adottato, e la percentuale è passata dallo 0% fino al 2004 al 18% tra il 2005 e il 2009 al 42% tra il 2010 e il 2020 (p < 0.001). Parallelamente, si è registrata una significativa riduzione dell’adozione della sopravvivenza globale come endpoint primario, dal 49% al 36% al 29% (p<0.001).

Nel tempo, è nettamente cresciuta la percentuale di studi sponsorizzati dall’industria farmaceutica sul totale di quelli pubblicati nelle riviste prese in considerazione. Tra il 2010 e il 2020, l’89% degli studi pubblicati era sponsorizzato dall’industria, mentre la percentuale si fermava al 57% prima del 2004 e al 78% tra il 2005 e il 2009 (p < 0.001).

Negli anni dal 2010 al 2020 è significativamente aumentata la proporzione di studi che, tra le 7 riviste considerate, sono stati pubblicati sulle principali riviste generaliste mediche (NEJM, Lancet, JAMA) invece che su riviste oncologiche specialistiche (tale percentuale è salita dall’11% al 44%, p<0.001). In particolare, è significativamente maggiore la chance che siano pubblicati sulle suddette riviste studi positivi che studi negativi (37% vs 5%, p<0.001).

Il follow-up mediano al momento dell’analisi riportata nella pubblicazione è significativamente diminuito nel tempo. Nel dettaglio, il follow-up mediano era pari a 47 mesi nel periodo antecedente al 2004, 37 mesi nel periodo 2005-2009 e 25 mesi nel periodo più recente.

Il 58% degli studi pubblicati aveva un risultato formalmente positivo, avendo soddisfatto l’endpoint primario. Tra questi studi positivi, l’incremento mediano della sopravvivenza è risultato pari a 3.4 mesi, e l’incremento mediano della sopravvivenza libera da progressione è risultato pari a 2.9 mesi.

Oltre un terzo degli studi pubblicati tra il 2010 e il 2020 ha esplicitamente impiegato un medical writer (39%). Tale percentuale è significativamente incrementata negli anni, passando dall’11% nel 2010 al 67% nel 2020, p<0.001).

Sulla base dei risultati sopra riassunti, gli autori evidenziano l’impiego costantemente crescente, ed oggi assolutamente preponderante, degli endpoint surrogati (anzi, endpoint da loro definiti “putativi surrogati”, in quanto in alcuni casi la surrogacy non è formalmente dimostrata) negli studi randomizzati condotti in oncologia.

Molte delle considerazioni riportate nel lavoro, pur limitato al tumore della mammella, del colon e del polmone, si applicano a molti altri tipi di tumori e molti altri studi pubblicati in questi anni. L’impiego di endpoint surrogati si accompagna peraltro frequentemente a benefici di modesta entità, e questo ha determinato, negli ultimi tempi, numerose critiche non solo alle sperimentazioni in sé ma anche alle relative decisioni regolatorie, che hanno portato in qualche caso all’approvazione di trattamenti associati a un beneficio discutibile.

Naturalmente, non è opportuno fare di tutta l’erba un fascio, in quanto, nelle 3 patologie prese in considerazione nell’analisi ma anche in altri tipi di tumori, abbiamo osservato in questi anni alcuni risultati eclatanti, ma anche risultati molto più dubbi. Sarebbe compito delle riviste scientifiche, in fase di peer review che può suggerire una discussione più critica da parte degli autori, o accompagnando la pubblicazione con un editoriale veramente critico, offrire al lettore la giusta chiave di lettura del risultato.

Gli autori sottolineano anche nelle conclusioni del lavoro il sempre più frequente impiego di medical writer nei lavori pubblicati. Sempre più spesso, i coautori del lavoro sono semplicemente chiamati a condividere un testo preparato da altri. Questo aspetto è stato già discusso, in passato, ad esempio dal gruppo di Ian Tannock (Vera-Badillo FE, et al. Honorary and ghost authorship in reports of randomised clinical trials in oncology. Eur J Cancer. 2016 Oct;66:1-8. ). Naturalmente, la presenza di un medical writer non implica necessariamente un problema di qualità del lavoro, ma implica almeno due considerazioni. La prima è che viene sempre meno incentivata la visione “romantica” del ricercatore clinico che si dedica attivamente non solo al trattamento dei pazienti ma anche a tutte le fasi concettuali che precedono e seguono il trattamento vero e proprio, dalla stesura del protocollo alla scrittura del manoscritto. La seconda considerazione è che frequentemente, leggendo i lavori scritti da un medical writer, che riportino i risultati di una sperimentazione profit, l’impressione è che tecnicamente tutti i risultati siano descritti in maniera molto corretta, ma manchi un reale spirito critico nel commento dei dati e nella discussione dei punti deboli dello studio.

Il fatto che ci siano, tra gli studi pubblicati, tanti studi condotti e sponsorizzati dall’industria farmaceutica non è di per sé un male. Lo sviluppo industriale di nuovi trattamenti è, in linea di principio, un presupposto per l’innovazione ed è un dato di fatto che la grande maggioranza delle innovazioni terapeutiche introdotte in oncologia negli ultimi anni siano frutto della ricerca dell'industria. Mentre la maggioranza degli studi pubblicati qualche decennio fa erano supportati da fondi governativi, recentemente la proporzione si è completamente ribaltata. Va sottolineato che gli autori, ai fini della classificazione dei lavori, hanno etichettato come “sponsorizzati dall’industria” non solo gli studi registrativi in cui l’azienda farmaceutica era il promotore, ma anche gli studi nei quali ci fosse un supporto dell’azienda all’accademia o a un gruppo non-profit, ad esempio con la fornitura del farmaco. Il nostro gruppo, in analisi simili della letteratura (cfr. Marandino L et al, Ann Oncol. 2018 Dec 1;29(12):2288-2295 oppure Di Maio M et al, JAMA Oncol. 2020 Jun 1;6(6):926-927) si è regolato diversamente, distinguendo gli studi promossi dall’azienda dagli studi accademici che avessero un semplice supporto. Il solo supporto ad uno studio indipendente, almeno in teoria, potrebbe non interferire con il disegno, la conduzione e l’interpretazione del risultato.

E’ peraltro vero che la ricerca completamente indipendente, negli anni, è sicuramente diminuita, e questo è sicuramente un peccato in quanto i quesiti aperti, ai quali la ricerca accademica potrebbe rispondere, sono cresciuti almeno quanto i risultati positivi ottenuti con i nuovi farmaci. In presenza di poche fonti di finanziamento per la ricerca indipendente, condurre studi completamente indipendenti (specialmente con farmaci innovativi recentemente introdotti in commercio e quindi mediamente molto costosi) è veramente un’impresa difficile, e i numeri del lavoro di JAMA lo confermano impietosamente.