Patologia mammaria
Sabato, 22 Maggio 2021

Le metastasi encefaliche riducono le chance di accesso agli studi clinici?

A cura di Massimo Di Maio

Il problema dell’esclusione dei pazienti oncologici con metastasi encefaliche da molti studi clinici, sia per esplicito criterio di eleggibilità sia per le difficoltà cliniche, è ben noto. Un’analisi degli studi clinici condotti in tumore della mammella, del polmone e melanoma descrive l’andamento nel tempo di questo problema, e discute le principali problematiche metodologiche e cliniche.

Corbett K, Sharma A, Pond GR, et al. Central Nervous System–Specific Outcomes of Phase 3 Randomized Clinical Trials in Patients With Advanced Breast Cancer, Lung Cancer, and Melanoma. JAMA Oncol. Published online May 20, 2021. doi:10.1001/jamaoncol.2021.1359

Una percentuale tutt’altro che trascurabile di pazienti affetti da neoplasia metastatica sviluppa, nel corso della storia della malattia, metastasi encefaliche. La presenza di metastasi encefaliche è associata ad un rischio clinicamente rilevante di sintomi, di necessità di terapia di supporto, nonché di eventi avversi anche severi.

E’ noto che la presenza di metastasi encefaliche rappresenta frequentemente un criterio di esclusione per molte sperimentazioni cliniche. Tale esclusione, in molti casi, non è esplicitamente giustificata nel razionale dei protocolli di studio, ma è basata sull’imprevedibilità della prognosi (nel complesso peggiore rispetto ai pazienti senza localizzazioni di malattia al sistema nervoso centrale), nonché sul rischio non trascurabile di progressione sintomatica di malattia, che di fatto espone questi pazienti a un rischio maggiore di interrompere precocemente il trattamento in studio. In aggiunta, anche quando la presenza di metastasi cerebrali è consentita dal protocollo, i pazienti con localizzazioni encefaliche sono spesso sotto-rappresentati negli studi rispetto alla reale incidenza nella pratica clinica.

Tutto ciò ha fatto sì che, per moltissimi trattamenti, le evidenze relative all’efficacia della terapia in presenza di metastasi encefaliche siano abbastanza limitate, nonostante negli anni scorsi alcune importanti iniziative di società scientifiche come l’ASCO abbiano sollevato il problema della sotto-rappresentazione di questi pazienti, al pari di altre categorie cosiddette “speciali”, negli studi clinici.

Gli autori della “research letter” pubblicata da JAMA Oncology hanno provato a descrivere l’inclusione di pazienti con metastasi encefaliche negli studi di fase III, basati sull’impiego di trattamenti sistemici in pazienti con tumore della mammella avanzato, tumore del polmone avanzato e melanoma avanzato.

La ricerca è stata condotta a gennaio 2020, basandosi sul registro pubblico ClinicalTrials.gov. Non sono stati imposti limiti temporali alla ricerca degli studi, e sono stati esclusi gli studi non ancora attivati e quelli senza risultati. Gli studi limitati al trattamento dei pazienti con metastasi lepto-meningee sono stati esclusi.

Oltre a valutare i criteri di inclusione, gli studi sono stati analizzati per la presenza, tra gli endpoint dichiarati, della valutazione specifica a livello del sistema nervoso centrale.

Sul totale dei 223 studi inclusi nell’analisi, 52 sperimentazioni (pari al 23%) prevedevano esplicitamente l’esclusione di tutti I pazienti con metastasi encefaliche note alla valutazione basale. Altri 124 studi (pari al 56%) prevedevano l’inserimento dei pazienti con metastasi encefaliche solo se alcuni criteri clinici erano soddisfatti: tra i criteri più comuni, la condizione che le metastasi encefaliche fossero stabili e non in progressione (n = 83, 67%), che le metastasi encefaliche fossero state precedentemente trattate (n = 62, 50%) e l’assenza di sintomi neurologici al momento dello screening (n = 49, 40%).

L’analisi dell’andamento nel tempo dell’inclusione o esclusione dei pazienti con metastasi encefaliche ha evidenziato un significativo trend temporale, con progressiva diminuzione dell’esclusione, di quinquennio in quinquennio, dal 2000 al 2019. Nel dettaglio, la proporzione di studi che escludevano tutti i pazienti con metastasi encefaliche è stata pari al 50% nel periodo compreso tra il 2000 ed il 2004, pari al 29% tra il 2005 ed il 2009, pari al 15% tra il 2010 ed il 2014 e pari all’11% tra il 2015 ed il 2019. Nello stesso periodo, è aumentata la proporzione di studi con esclusione “condizionata” dei pazienti con metastasi encefaliche: 31% tra il 2000 ed il 2004, 40% tra il 2005 ed il 2009, 69% tra il 2010 ed il 2014, 81% dal 2015.

Sul totale dei 223 studi presi in considerazione, 13 studi (pari al 6%) includevano esplicitamente endpoint specifici a livello del sistema nervoso centrale. Tra questi, la presenza di progressione a livello del SNC (7 studi su 13), il tempo alla progressione encefalica (7 su 13), la risposta specifica a livello del SNC (4 su 13), la durata della risposta a livello del SNC (3 su 13). Due studi (pari al 15%) includevano tra gli endpoint l’effetto del trattamento sulla qualità di vita neurologica e 1 studio includeva la valutazione della funzione neuro-cognitiva.

Gli autori elencano le principali problematiche relative all’inclusione dei pazienti con metastasi encefaliche negli studi:

  1. La storia naturale e l’andamento clinico delle metastasi encefaliche è spesso imprevedibile
  2. I pazienti con metastasi encefaliche hanno una prognosi eterogenea
  3. La malattia a livello encefalico può essere biologicamente diversa rispetto alle altre sedi di malattia
  4. Specialmente dopo il trattamento radioterapico, è difficile valutare in maniera affidabile la risposta strumentale a livello encefalico alle terapie sistemiche
  5. Molti trattamenti arrivano alla fase III senza dati noti di attività a livello encefalico
  6. L’attività del trattamento a livello encefalico potrebbe essere diversa rispetto all’attività a livello extra-encefalico
  7. Problematiche relative alla valutazione di endpoint specifici neurologici, qualità di vita, funzione cognitiva.

Negli ultimi anni, è stata più volte descritta la frequente esclusione, negli studi clinici condotti in oncologia, di alcune popolazioni “speciali” di pazienti, tra cui i casi con metastasi encefaliche. Un’analisi delle applicazioni sottomesse all’agenzia regolatoria statunitense FDA nel 2015 (https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/28968168/) aveva evidenziato, oltre alle restrizioni in termini di performance status o di patologia concomitante cardio-vascolare, anche la frequente esclusione dei pazienti con metastasi encefaliche: il 77% degli studi non consentiva l’inclusione di pazienti con metastasi encefaliche note, attive o sintomatiche, e meno della metà degli studi consentiva l’inclusione di pazienti con metastasi encefaliche stabili e/o trattate).

L’informazione riportata nella lettera appena pubblicata da JAMA Oncology non è nuova. Peraltro, la pubblicazione è interessante perché descrive anche l’andamento nel tempo, mentre ad esempio l’analisi pubblicata dal Journal of Clinical Oncology nel 2017 si limitava a considerare un singolo anno, il 2015. Nel tempo, si è drasticamente ridotto il numero di studi che escludono di principio questi pazienti, ed è nettamente aumentato il numero di studi che subordina la partecipazione alla stabilità del quadro clinico o all’eventuale precedente trattamento delle localizzazioni encefaliche.

Negli anni le terapie oncologiche nelle 3 patologie prese in considerazione nell’analisi (mammella, polmone, melanoma) sono nettamente cambiate. Nel tumore del polmone e nel melanoma una percentuale importante degli studi riguarda il trattamento immunoterapico: è ben noto che il trattamento con corticosteroidi, necessariamente frequente in presenza di metastasi encefaliche, rappresenta un criterio di esclusione per gli studi di immunoterapia, e tali pazienti sono inevitabilmente sotto-rappresentati, anche quando non ci sia un esplicito criterio di esclusione, in tali studi.

Peraltro, sono nettamente aumentati anche gli studi condotti con farmaci a bersaglio molecolare, la cui attività a livello encefalico a volte è molto buona, al punto da diventare oggetto di valutazione esplicita con la descrizione, tra gli endpoint, della risposta intracranica, del tempo alla progressione encefalica, della durata della risposta encefalica. E’ il caso degli inibitori di nuova generazione diretti contro EGFR o contro ALK.

Interessante, nella lettera di JAMA Oncology, il tentativo di sistematizzare le problematiche relative all’inclusione dei pazienti con metastasi encefaliche negli studi clinici. Per ciascuna problematica, gli autori offrono esempi e una potenziale soluzione. Ad esempio, a proposito della mancanza o della scarsità di dati sull’attività intracranica di molti farmaci sperimentali al momento del disegno dello studio (che suggerisce l’esclusione di questi pazienti dagli studi di fase III, se si sospetta che ci sia un elevato rischio di progressione encefalica), gli autori propongono di potenziare la valutazione dell’attività intracranica negli studi di fase precoce, nonché di prevedere un monitoraggio strumentale del sistema nervoso centrale, valutando la possibilità di proseguire il trattamento in studio in caso di sola progressione encefalica con risposta o stabilità della malattia extracranica, e propongono anche di escludere (come accaduto sempre più frequentemente negli ultimi anni) dalla partecipazione i soli pazienti con metastasi leptomeningee o con metastasi encefaliche clinicamente instabili o non adeguatamente trattate.

Gli autori sottolineano che la loro analisi non è stata condotta su PubMed, ma ha riguardato gli studi registrati su ClinicalTrials.gov, quindi l’analisi degli endpoint potrebbe non aver catturato eventuali analisi contenute nelle successive pubblicazioni ma non esplicitamente dichiarate tra gli endpoint nella scheda dello studio pubblicata sul registro.

E’ opportuno ricordare che l’ASCO (American Society of Clinical Oncology), insieme con l’associazione Friends of Cancer Research, ha prodotto una raccomandazione per la quale gli studi dovrebbero consentire l’inclusione dei pazienti con metastasi encefaliche trattate e/o stabili, mentre I casi con metastasi encefaliche attive andrebbero valutati per l’eleggibilità sulla base di espliciti criteri (https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/28968170/)