Patologia mammaria
Martedì, 15 Dicembre 2015

Metastasi encefaliche da carcinoma mammario HER2 positivo. La sfida continua.

A cura di Fabio Puglisi

Le metastasi al sistema nervoso centrale rappresentano uno fra i principali "clinical need" nella gestione del carcinoma mammario HER2 positivo in stadio avanzato. Chirurgia, radioterapia e trattamento sistemico si integrano nel tentativo di fornire il massimo beneficio terapeutico. La ricerca intanto continua. E' la volta di afatinib, ma con quali risultati?

Cortés J, et al. Afatinib alone or afatinib plus vinorelbine versus investigator's choice of treatment for HER2-positive breast cancer with progressive brain metastases after trastuzumab, lapatinib, or both (LUX-Breast 3): a randomised, open-label, multicentre, phase 2 trial. Lancet Oncol 2015 [Epub ahead of print]

Il trattamento di pazienti con carcinoma mammario HER2-positivo già sottoposte a radioterapia per metastasi encefaliche e a terapia sistemica con lapatinib e trastuzumab, rappresenta una vera sfida terapeutica.

Afatinib è un inibitore orale delle proteine della famiglia ErbB. In uno studio di fase II, ha mostrato attività in pazienti con carcinoma mammario HER2-positivo metastatico precedentemente trattate con con trastuzumab e chemioterapia. In modelli preclinici, l'attività antitumorale di afatinib è risultata potenziata dall'aggiunta di vinorelbina. Tale combinazione ha mostrato di essere attiva anche in uno studio di fase I condotto su pazienti con tumori solidi in stadio avanzato.

Lo studio LUX-Breast 3, è uno studio randomizzato di fase II che confronta afatinib in monoterapia o in combinazione con vinorelbina, verso la terapia a scelta del clinico in donne con carcinoma mammario HER2-positivo progredite dopo trattamento radiante e terapia con trastuzumab, lapatinib, o entrambi.  I regimi più impiegati nel braccio senza afatinib sono stati: trastuzumab + vinorelbina (11 [26%] pazienti) e lapatinib + capecitabina (8 [19%] pazienti).

Endpoint primario: beneficio clinico (definito come l'assenza di progressione encefalica o extra-encefalica e/o di peggioramento clinico neurologico, incluso l'incremento di dose di steroide) a 12 settimane.

 

Tra dicembre 2011 e febbraio 2013, sono state screenate 132 pazienti (121 eleggibili). Dopo la randomizzazione, sono stati assegnati i seguenti trattamenti:

  • monoterapia con afatinib (N=40)
  • afatinib + vinorelbina (=38)
  • terapia a scelta del clinico  (N=43)

Un beneficio clinico è stato osservato in 12 pazienti trattate con afatinib single-agent (30%; 95% IC 16.6–46.5) (differenza vs terapia a scelta del clinico: −11.9% [95% IC −32.9-97], p=0.37), in 13 pazienti trattate con afatinib + vinorelbina (34.2%; 19.6–51.4) (differenza vs scelta del clinico: −7.6% [–28.9-14.2], p=0.63), e in 18 pazienti trattate in base al giudizio del clinico (41.9%; 27.0–57.9).

Da notare che la sopravvivenza mediana in questa popolazione di pazienti pre-trattate è risultata pari a circa un anno, sia nel gruppo trattato con afatinib da solo che nel gruppo con trattamento a scelta del clinico.

Inoltre, 6 (14%) delle 43 pazienti trattate con un regime a scelta del clinico hanno ottenuto una risposta obiettiva a livello encefalico, con una durata mediana della risposta di 192 giorni. Lo studio, in tal senso, supporta la pratica clinica di trattare le metastasi encefaliche con agenti sistemici in alternativa a trattamenti ripetuti di radioterapia.

Gli eventi avversi di grado 3/4 più comuni sono stati:

  • diarrea (7 [18%] delle 40 pazienti nel gruppo afatinib vs 9 [24%] delle 37 pazienti nel gruppo afatinib + vinorelbina vs 2 [5%] delle 42 pazienti nel gruppo trattato a giudizio clinico
  • neutropenia (nessuna vs 14 [38%] vs 4 [10%]).

Le metastasi encefaliche da carcinoma mammario HER2 positivo che progrediscono dopo radioterapia e terapia sistemica con trastuzumab o lapatinib sono difficili da trattare.

Lo studio fallisce nel dimostrare un beneficio clinico da regimi terapeutici contenenti afatinib e sancisce la fine dello sviluppo di tale agente nel carcinoma mammario. 

Al contempo, è supportata l'evidenza che in tale contesto clinico alcune pazienti possono beneficiare dalla continuazione di un trattamento sistemico anti-HER2.