Patologia mammaria
Martedì, 17 Gennaio 2023

Progressione encefalica isolata in corso di terapia con pertuzumab e trastuzumab per carcinoma mammario HER2-positivo: mantenere o cambiare il trattamento sistemico?   

A cura di Fabio Puglisi

Più del 10% delle pazienti con carcinoma mammario metastatico HER2-positivo sviluppa una metastasi isolata al sistema nervoso centrale (SNC) come prima sede di progressione in corso di trattamento di prima linea con doppio blocco anti-HER2 (pertuzumab e trastuzumab). 
Tuttavia, ad oggi, si dispone di pochi dati per indirizzare il clinico verso la migliore strategia terapeutica. 
Il gruppo francese interroga retrospettivamente il proprio database di real-life ESME (Epidemiological Strategy and Medical Economics) per trovare qualche spunto di risposta. 
 
Collet L, et al. Clinical outcome of patients with isolated central nervous system progression on first-line pertuzumab and trastuzumab treatment for HER2-positive metastatic breast cancer in a real-life cohort. Breast Cancer 2023 (Epub ahead of print).

Su un totale di 22463 pazienti con carcinoma mammario metastatico registrate nel database ESME tra gennaio 2008 e dicembre 2016, è stata fatta una ricerca per progressione isolata al SNC (sia prima evidenza di metastasi al SNC che progressione di metastasi al SNC già esistenti alla diagnosi) in corso di pertuzumab e trastuzumab quale trattamento di prima linea nella malattia HER2-positiva.

Dopo la descrizione delle caratteristiche di pazienti e tumori, l’endpoint primario era la stima della overall survival nell’intera popolazione e nei due sottogruppi individuati:

Il primo sottogruppo includeva pazienti che continuavano la terapia con trastuzumab e pertuzumab dopo trattamento locale della progressione al SNC. 

Il secondo sottogruppo includeva pazienti che, dopo progressione isolate al SNC, modificavano il trattamento sistemico. 

Su un totale di 995 pazienti trattate in prima linea con trastuzumab e pertuzumab per carcinoma mammario HER2-positivo metastatico, 132 (13%) hanno sperimentato una progressione isolata al SNC.  Tali progressioni isolate al SNC sono occorse dopo un tempo mediano di 12 mesi dalla diagnosi di malattia metastatica. 

Delle 132 pazienti individuate, 12 non avevano ricevuto un trattamento e, pertanto, sono state escluse dall’analisi.  Fra le 120 pazienti facenti parte dell’analisi, 76 (63%) hanno ricevuto una terapia locale su SNC, 73 (60%) hanno continuato trastuzumab and pertuzumab, mentre 47 (39%) hanno modificato il trattamento sistemico.  

Ad un follow-up mediano di 21 mesi, non è emersa alcuna differenza in termini di progression-free survival per le pazienti che hanno continuato la terapia con trastuzumab–pertuzumab rispetto alle pazienti che hanno modificato il trattamento sistemico. In analisi multivariata, la continuazione di trastuzumab–pertuzumab è stata associata con una overall survival (OS) più lunga (HR 0.28 IC 95%: 0.14–0.54 p < 0,001). In particolare, la mediana di OS non è stata raggiunta nelle pazienti che hanno continuato il doppio blocco anti-HER2 (95% 37.6-NE) mentre è stata pari a 23.2 mesi (95% CI 15.5–53.6) tra le pazienti che hanno fatto lo switch ad un altro trattamento sistemico. 

Nel database ESME, il 13% delle pazienti in trattamento di prima linea con doppio blocco anti-HER2 ha sperimentato una progressione isolata al SNC. 

La coorte real-life del database ESME, pur con i limiti di una analisi retrospettiva e osservazionale, suggerisce che, in tale contesto clinico, proseguire il trattamento di prima linea con trastuzumab–pertuzumab non impatta negativamente con l’outcome (PFS e OS) rispetto alla strategia di switch (modifica del trattamento sistemico).

Tuttavia, la PFS rimane particolarmente breve e vi è necessità di individuare nuovi trattamenti sistemici per prevenire la progressione al SNC. 

Fra gli agenti più innovativi, da ricordare come il tucatinib aggiunto a trastuzumab e capecitabina abbia ridotto significativamente il rischio di progressione al SNC o morte del 68% (HR 0.32) e il rischio di morte del 42% (HR 0.58). Inoltre, il tempo mediano alla comparsa di nuove lesioni encefaliche è stato ritardato rispetto al solo trattamento con capecitabina e trastuzumab (mediana non raggiunta vs 13 mesi, HR 0.52, 95%CI, 0.33-0.82).