Patologia polmonare
Sabato, 06 Dicembre 2014

Apricoxib: sembra una parola magica, ma non funziona!

A cura di Massimo Di Maio

Molti anni dopo lo studio GECO, coordinato a Napoli, che aveva testato senza successo il rofecoxib con la chemioterapia di prima linea del NSCLC avanzato, uno studio randomizzato studia l'apricoxib in seconda linea... nonostante la selezione per il target, il risultato è, ancora una volta, negativo.

Edelman MJ et al. Randomized, Double-Blind, Placebo-Controlled, Multicenter Phase II Study of the Efficacy and Safety of Apricoxib in Combination With Either Docetaxel or Pemetrexed in Patients With Biomarker-Selected Non–Small-Cell Lung Cancer. Published online before print December 1, 2014, doi: 10.1200/JCO.2014.55.5789 JCO December 1, 2014 JCO.2014.55.5789

L'iperespressione della ciclossigenasi 2 (COX-2) è risultata associata ad uno stadio più avanzato di malattia e a una prognosi peggiore nei pazienti con NSCLc avanzato, e tale andamento aggressivo della malattia è stato attribuito ad un incremento dei livelli di prostaglandina E2. I coxib sono stati abbondantemente testati, senza successo, nel NSCLC: lo studio GECO, coordinato qualche anno fa a Napoli, aveva testato l'aggiunta del rofecoxib alla chemioterapia di prima linea con cisplatino e gemcitabina, senza successo.

Peraltro, alcune evidenze suggerivano che l'efficacia dei coxib potrebbe essere limitata ai pazienti che dimostrano soppressione urinaria del metabolite della prostaglandina E2. Su queste basi, è stato condotto uno studio randomizzato di fase II per testare l'attività dell'apricoxib in aggiunta alla chemioterapia di seconda linea (docetaxel o pemetrexed) dopo fallimento di una prima linea contenente platino, nei pazienti selezionati per la soppressione di almeno il 50% dei livelli urinari di tale metabolita dopo 5 giorni di apricoxib.

I pazienti assegnati al braccio sperimentale ricevevano docetaxel o pemetrexed a dosi standard, con l'aggiunta di apricoxib alla dose di 400 mg al giorno, mentre i pazienti assegnati al braccio di controllo ricevevano la medesima chemioterapia più placebo.

Endpoint primario dello studio era la sopravvivenza libera da progressione.

In totale, 101 pazienti hanno completato la fase di screening, ovvero la somministrazione di 5 giorni di apricoxib e la successiva determinazione della soppressione dei livelli urinari del metabolita della prostaglandina E2. Degli 80 pazienti in cui si era verificata tale soppressione di almeno il 50%, 72 sono stati randomizzati a ricevere apricoxib o placebo in aggiunta alla chemioterapia.

La somministrazione di apricoxib non ha prodotto tossicità significative in aggiunta alla chemioterapia.

Il risultato in termini di endpoint primario non ha documentato alcun vantaggio in PFS a favore dell'apricoxib. La PFS mediana è risultata infatti del tutto simile nei 2 bracci (97 giorni nel braccio di controllo, e 85 giorni nel braccio sperimentale).

Il tentativo di combinare l'inibizione della ciclossigenasi di tipo II con l'azione citotossica della chemioterapia è fallito anche in questo studio. Nonostante il tentativo di selezione dei pazienti sulla base di un presunto biomarker di attività del coxib (ovvero la soppressione dei livelli urinari del metabolita della prostaglandina E2), lo studio non ha evidenziato alcun segnale promettente di attività.

Un precedente studio di combinazione con erlotinib aveva suggerito una possibile attività dell'apricoxib nel NSCLC avanzato, ma i dati dello studio ora pubblicato su JCO non vanno nella stessa direzione.
Gli autori concludono che la ciclossigenasi rimane un target interessante nella patologia, ma al momento i dati non sembrano supportare l'entusiasmo iniziale.