Patologia polmonare
Martedì, 03 Giugno 2025

#ASCO2025 Risultati positivi nel trattamento di seconda linea del microcitoma polmonare

A cura di Massimo Di Maio

Presentati a Chicago, con concomitante pubblicazione sul New England Journal of Medicine, i risultati di uno studio di fase III che valutava l’efficacia dell’anticorpo bispecifico tarlatamab come trattamento di seconda linea del microcitoma polmonare, in pazienti in progressione dopo chemioterapia a base di platino.

Mountzios G, Sun L, Cho BC, Demirci U, Baka S, Gümüş M, Lugini A, Zhu B, Yu Y, Korantzis I, Han JY, Ciuleanu TE, Ahn MJ, Rocha P, Mazières J, Lau SCM, Schuler M, Blackhall F, Yoshida T, Owonikoko TK, Paz-Ares L, Jiang T, Hamidi A, Gauto D, Recondo G, Rudin CM; DeLLphi-304 Investigators. Tarlatamab in Small-Cell Lung Cancer after Platinum-Based Chemotherapy. N Engl J Med. 2025 Jun 2. doi: 10.1056/NEJMoa2502099. Epub ahead of print. PMID: 40454646.

Il tarlatamab è un anticorpo bispecifico appartenente alla classe delle BiTE (Bispecific T-cell Engager). Tarlatamab, in quanto bispecifico, è progettato per legarsi simultaneamente a due antigeni: il ligando delta-like 3 (DLL3), espresso in elevata percentuale delle cellule del microcitoma polmonare, e il CD3, presente sui linfociti T. Attraverso questo legame duplice, tarlatamab è in grado di avvicinare spazialmente le cellule T alle cellule tumorali, facilitando l'attivazione delle prime con il relativo effetto antitumorale.

Il farmaco è stato già sperimentato nei pazienti con microcitoma polmonare, nell’ambito dello studio di fase II DeLLphi-301. In quello studio, i pazienti erano stati già trattati con chemioterapia. Tarlatamab aveva ottenuto un tasso di risposta obiettiva (ORR) pari al 40% nella coorte trattata con 10 mg e pari al 32% in quella con 100 mg. La durata mediana della risposta è risultata pari ad almeno 6 mesi nel 59% dei pazienti, con risposte ancora in corso nel 55-57% dei casi al momento dell'analisi.

I risultati promettenti di tale studio di fase II hanno portato all’autorizzazione (accelerated approval) del tarlatamab da parte della US Food and Drug Administration. Peraltro, si trattava di uno studio a singolo braccio senza evidenze comparative rispetto ai trattamenti di seconda linea disponibili nella pratica clinica.

Tecnicamente, quindi, prima della presentazione all’ASCO dello studio di fase III, non era noto se il tarlatamab fosse più efficace della chemioterapia nel trattamento di pazienti affetti da carcinoma polmonare a piccole cellule in progressione durante o dopo la chemioterapia iniziale a base di platino.

Lo studio presentato all’ASCO e pubblicato sul NEJM è uno studio internazionale di fase 3, in aperto, disegnato per confrontare il tarlatamab con la chemioterapia come trattamento di seconda linea in pazienti con carcinoma polmonare a piccole cellule la cui malattia era progredita durante o dopo la chemioterapia a base di platino.

I pazienti sono stati randomizzati a ricevere tarlatamab (braccio sperimentale) oppure una chemioterapia a scelta dello sperimentatore (topotecan, lurbinectedina o amrubicina).

L'endpoint primario dello studio, come si conviene ad uno studio di seconda linea per una patologia dalla prognosi così severa, era la sopravvivenza globale (overall survival, OS).

I principali endpoint secondari erano la sopravvivenza libera da progressione (progression-free survival, PFS) valutata dallo sperimentatore e i patient-reported outcomes.

Nella pubblicazione del EJM sono riportati i risultati dell'analisi ad interim prespecificata.

Lo studio ha visto la randomizzazione di 509 pazienti, dei quali 254 sono stati assegnati a tarlatamab e 255 a chemioterapia.

Il trattamento con tarlatamab è risultato associato a una sopravvivenza globale significativamente maggiore rispetto alla chemioterapia: la sopravvivenza mediana è risultata pari a 13.6 mesi nel braccio sperimentale vs. 8.3 mesi nel braccio di controllo; hazard ratio stratificato 0.60, intervallo di confidenza al 95% da 0.47 a 0.77; P<0.001.

Il trattamento con tarlatamab ha inoltre mostrato un beneficio significativo, rispetto alla chemioterapia, in termini di progression-free survival, nonché in termini di sintomi come la dispnea e la tosse correlate al cancro.

L'incidenza di eventi avversi di grado 3 o superiore è stata inferiore con tarlatamab rispetto alla chemioterapia (54% vs. 80%), così come è risultata inferiore con tarlatamab l'incidenza di eventi avversi che hanno comportato l'interruzione del trattamento (5% vs. 12%).

Sulla base dei risultati sopra sintetizzati, gli autori concludono che il trattamento con tarlatamab ha portato a una sopravvivenza globale più lunga rispetto alla chemioterapia nei pazienti con carcinoma polmonare a piccole cellule la cui malattia era progredita durante o dopo la chemioterapia a base di platino.

Si tratta di una notizia importante in una patologia particolarmente avara di rilevanti novità e di trattamenti efficaci. Sostanzialmente, il progresso negli ultimi anni per i pazienti affetti da microcitoma polmonare è risultato limitato a quanto ottenuto con l’aggiunta dell’immunoterapia alla chemioterapia di prima linea, anche se si è più volte sottolineato quanto il beneficio dell’immunoterapia in questa patologia appaia meno eclatante rispetto ad altri tumori solidi, come precedentemente commentato su Oncotwitting:
https://www.oncotwitting.it/immunoterapia/immunoterapia-nel-microcitoma-polmonare-sara-vera-gloria;
https://www.oncotwitting.it/patologia-polmonare/immunoterapia-quale-chance-di-controllo-di-malattia-a-lungo-termine-nel-microcitoma

Il 70% circa dei pazienti randomizzati aveva ricevuto immunoterapia in combinazione con la chemioterapia di prima linea. Lo studio prevedeva l’inclusione di pazienti con metastasi encefaliche. E’ noto quanto siano frequenti (e quanto possano essere invalidanti dal punto di vista clinico) le metastasi encefaliche, che spesso rappresentano criterio di esclusione dagli studi clinici. In questo caso, se il paziente aveva metastasi clinicamente stabili, anche se trattate, e se queste ultime non impattavano sul performance e sui sintomi, l’inclusione nello studio era consentita.

Come è noto, un forte fattore prognostico, nell’ambito della prognosi complessivamente sfavorevole dei pazienti candidati a trattamento di seconda linea per microcitoma, è l’intervallo trascorso dalla fine del trattamento di prima linea con il platino: questo rappresentava un fattore di stratificazione nello studio, garantendo un bilanciamento tra i due bracci.

Pur trattandosi di un trattamento “target”, in quanto il tarlatamab è diretto contro DLL3, l’espressione di tale target è considerata così diffusa nelle cellule di microcitoma che lo studio non prevedeva una selezione molecolare. In ogni caso, in un panorama avaro di soddisfazioni come quello del trattamento del microcitoma polmonare, i risultati presentati a Chicago e pubblicati sul NEJM sono sicuramente rilevanti.