Patologia polmonare
Lunedì, 03 Giugno 2024

Il trattamento di prima linea dei tumori del polmone ALK+: crizotinib era un grande progresso, ora sembra preistoria…

A cura di Massimo Di Maio

Le analisi con un follow-up a 5 anni dello studio CROWN, che confrontava lorlatinib e crizotinib come trattamento di prima linea dei casi affetti da NSCLC avanzato ALK+, documentano una lunghissima durata del controllo di malattia, con una PFS mediana nei pazienti trattati con lorlatinib impensabile fino a pochi anni fa. C’è ancora progresso da fare, ma risultati come questo incoraggiano e sono motivo di soddisfazione.

Benjamin J. Solomon et al., Lorlatinib Versus Crizotinib in Patients With Advanced ALK-Positive Non–Small Cell Lung Cancer: 5-Year Outcomes From the Phase III CROWN Study. JCO 0, JCO.24.00581. DOI:10.1200/JCO.24.00581

Negli ultimi anni, il numero di nuovi farmaci ALK inibitori, attivi nel trattamento dei pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC) avanzato ALK+, è decisamente aumentato.

Qualche anno fa, su Oncotwinning abbiamo segnalato e commentato la pubblicazione iniziale dei dati dello studio CROWN. (https://www.oncotwitting.it/patologia-polmonare/trattamento-del-tumore-del-polmone-alk-avremo-l-imbarazzo-della-scelta). Adesso lo studio è stato presentato all’ASCO 2024 e pubblicato dal Journal of Clinical Oncology, avendo raggiunto un follow-up di 5 anni.

Questi tumori, per i quali qualche anno fa la disponibilità del crizotinib aveva rappresentato la possibilità di un approccio a bersaglio molecolare, superiore rispetto al trattamento chemioterapico, oggi possono beneficiarsi del trattamento con una lista crescente di farmaci di provata attività ed efficacia, tra cui ad esempio l’alectinib che è diventato il trattamento di prima scelta da vari anni, essendosi dimostrato inequivocabilmente superiore al crizotinib.

Il lorlatinib, inibitore di terza generazione di ALK, già prima della pubblicazione dello studio CROWN aveva dimostrato una buona attività antitumorale in casi pretrattati con altri inibitori, ed è stato usato come terapia di seconda linea, o successiva, in pazienti che avessero già fallito il trattamento con altri inibitori.

Lo studio CROWN, trial multicentrico internazionale, ha confrontato il lorlatinib (alla dose di 100 mg al giorno) con il crizotinib (alla dose standard di 250 mg due volte al giorno) in 296 pazienti con NSCLC avanzato, caratterizzati da positività di ALK, che erano candidati a trattamento di prima linea non avendo ricevuto altre linee precedenti.

Endpoint primario dello studio era la sopravvivenza libera da progressione (progression-free survival, PFS) sulla base della revisione centralizzata indipendente, e lo studio era dimensionato per garantire il 90% di potenza nell’evidenziare un incremento nella PFS mediana da 11 mesi con il crizotinib a 18 mesi con il lorlatinib (Hazard Ratio 0.611).
Il piano statistico prevedeva la conduzione di una analisi ad interim, al raggiungimento del 75% degli eventi complessivi (133 su 177 progressioni e/o decessi in assenza di progressione).

Endpoint secondari erano la PFS basata sulla valutazione degli sperimentatori, la risposta obiettiva, la risposta intracranica, la sopravvivenza globale, la qualità di vita, la sicurezza e la tollerabilità del trattamento.

Nell’analisi già precedentemente pubblicata, lorlatinib aveva dimostrato di migliorare la sopravvivenza libera da progressione (PFS) e l’attività intracranica rispetto a crizotinib. Ora sono stati comunicati e pubblicati i risultati a lungo termine di CROWN, dopo 5 anni di follow-up.

Dopo un follow-up mediano per l’analisi di PFS pari rispettivamente a 60. 2 e 55.1 mesi nel braccio sperimentale e nel braccio di controllo, la PFS mediana non è stata raggiunta (intervallo di confidenza al 95% da 64.3 mesi a non raggiunta) con lorlatinib ed è risultata pari a 9.1 mesi (intervallo di confidenza al 95%, da 7.4 a 10.9 mesi) con crizotinib. Questo corrisponde a hazard ratio 0.19 (Intervallo di confidenza al 95%, da 0.13 a 0.27).

La probabilità di sopravvivenza libera da progressione a 5 anni è stata rispettivamente pari al 60% (intervallo di confidenza al 95%, da 51% a 68%) con lorlatinib e pari a 8% (Intervallo di confidenza al 95%, da 3% a 14%) con crizotinib.

Il tempo mediano alla progressione intracranica è stato non ancora raggiunto con lorlatinib e pari a 16.4 mesi con crizotinib (hazard ratio 0.06, intervallo di confidenza al 95% 0.03 – 0.12).

Il profilo di sicurezza è risultato coerente con quanto riportato nelle analisi precedenti.

Gli autori, commentando i risultati oggetto della presentazione all’ASCO e della simultanea pubblicazione sul Journal of Clinical Oncology, sottolineano che, dopo un follow-up di 5 anni, nel braccio di pazienti assegnati a lorlatinib la PFS mediana deve ancora essere raggiunta. Questo è un risultato – dicono gli autori – “corrispondente alla PFS più lunga mai riportata con qualsiasi trattamento a bersaglio molecolare nel NSCLC avanzato e in tutti i tumori solidi metastatici”.

Oltre al risultato in termini di controllo di malattia, vale la pena di sottolineare la prolungata efficacia a livello del sistema nervoso centrale.

Più volte in questi anni si è sottolineata l’assenza di confronti testa a testa tra i vari farmaci di nuova generazione anti-ALK, che si sono confrontati tutti contro crizotinib. E’ chiaro che lo standard attualmente usato nella pratica clinica non corrisponde al braccio di controllo di questo studio. Questo va tenuto presente, ma è anche vero che i risultati sono sicuramente di grande rilevanza in termini di durata eccezionale del controllo di malattia.

Qualche anno fa sarebbe stato impensabile che oltre metà dei pazienti affetti da un tumore del polmone metastatico potessero essere liberi da progressione dopo 5 anni di terapia. Oggi è realtà, e stiamo osservando progressi di questo tipo in più di una sottopopolazione molecolare, anche se sicuramente i casi caratterizzati da mutazione di EGFR o alterazione di ALK rappresentano ancora modelli non esattamente replicati in caso di altre alterazioni.

Sembrano francamente azzardati i paragoni con l’impatto dell’imatinib e degli inibitori di tirosino-chinasi nella gestione farmacologica della leucemia mieloide cronica, considerando che in quella patologia l’aspettativa di vita dei pazienti è diventata simile, nell’arco di un ventennio, a quella della popolazione generale. Non sembra ancora questo il caso per i pazienti con tumore del polmone ALK+ (pensiamo comunque che, parlando dei singoli pazienti, metà di essi avranno un risultato migliore della mediana, ma metà avranno comunque un risultato peggiore), ma indubbiamente siamo testimoni di importanti progressi.

L’altro aspetto da sottolineare è che, al momento della progressione di malattia, la gestione di questi pazienti non è facile, dal momento che le resistenze terapeutiche rendono non scontate le scelte terapeutiche e l’attività di farmaci usati in sequenza. Pertanto, grande soddisfazione per il lungo controllo di malattia, ma la ricerca deve continuare per studiare le resistenze e ulteriori opzioni efficaci al momento della progressione.