Patologia polmonare
Sabato, 06 Ottobre 2018

Immunoterapia del tumore del polmone: avelumab non allunga la lista dei farmaci “me too”

A cura di Massimo Di Maio

Già 3 farmaci immunoterapici sono disponibili per il trattamento di seconda linea dei pazienti con NSCLC avanzato. Ora arrivano i dati negativi di avelumab, confrontato con il precedente standard nel medesimo setting. Un risultato che “non toglie e non mette” niente all’evidenza disponibile.

Barlesi F, Vansteenkiste J, Spigel D, Ishii H, Garassino M, de Marinis F, Özgüroğlu M, Szczesna A, Polychronis A, Uslu R, Krzakowski M, Lee JS, Calabrò L, Arén Frontera O, Ellers-Lenz B, Bajars M, Ruisi M, Park K. Avelumab versus docetaxel in patients with platinum-treated advanced non-small-cell lung cancer (JAVELIN Lung 200): an open-label, randomised, phase 3 study. Lancet Oncol. 2018 Sep 21. pii: S1470-2045(18)30673-9. doi: 10.1016/S1470-2045(18)30673-9. [Epub ahead of print] PubMed PMID: 30262187.

Negli ultimi anni, prima nivolumab (in 2 studi randomizzati, uno dedicato ai pazienti affetti da tumore ad istologia squamosa e l’altro dedicato ai pazienti ad istologia non squamosa), poi pembrolizumab, e in terza battuta atezolizumab hanno dimostrato efficacia superiore a docetaxel come trattamento di seconda linea dei pazienti affetti da tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC) avanzato, che avessero ricevuto precedente trattamento con platino.

Sulla base di tali risultati, i 2 anticorpi antiPD-1 nivolumab e pembrolizumab e l’anticorpo antiPD-L1 atezolizumab sono attualmente approvati per l’impiego nella pratica clinica, con l’unica differenza legata alla selezione dei pazienti (nessuna restrizione sulla base dell’espressione di PD-L1 per nivolumab e atezolizumab, e impiego limitato ai soli casi con espressione di PD-L1 pari ad almeno l’1% per pembrolizumab).

In questo scenario già affollato di opzioni terapeutiche, arrivano i risultati del quinto studio randomizzato, lo studio JAVELIN Lung 200, che ha valutato l’efficacia dell’anticorpo monoclonale antiPD-L1 avelumab.

Lo studio JAVELIN Lung 200 era uno studio multicentrico, randomizzato, di fase III, condotto in aperto, che ha visto la partecipazione di 173 istituzioni in 31 paesi. Lo studio prevedeva l’eleggibilità di pazienti di età uguale o superiore a 18 anni, affetti da non-small-cell lung cancer (NSCLC) in stadio IIIB o IV, che avessero avuto progressione di malattia dopo il trattamento con una combinazione chemioterapica contenente platino. Per essere eleggibili, i pazienti dovevano avere un performance status pari a 0 oppure 1, un’aspettativa di vita stimata pari ad almeno 12 settimane e adeguata funzionalità midollare, epatica e renale.

Lo studio prevedeva la randomizzazione, in rapporto 1:1, tra 2 bracci di trattamento:

  • I pazienti assegnati al braccio sperimentale ricevevano avelumab, alla dose di 10 mg/kg, ogni 2 settimane;
  • I pazienti assegnati al braccio di controllo ricevevano docetaxel, alla dose di 75 mg/mq, ogni 3 settimane.

La randomizzazione era stratificata sulla base del livello di espressione del PD-L1 (≥1% vs <1% delle cellule tumorali) e dell’istologia (squamosa vs non-squamosa).

Endpoint primario dello studio era la sopravvivenza globale.

Il protocollo prevedeva l’analisi dopo 337 eventi (decessi) nella popolazione positiva per PD-L1. Il piano di analisi statistica prevedeva un’analisi gerarchica per cui l’efficacia del trattamento sarebbe stata testata prima nella popolazione di pazienti positivi per espressione di PD-L1 (vale a dire con espressione pari ad almeno l’1%), e successivamente nella popolazione complessiva, comprendente anche i casi negativi per espressione di PD-L1.

Lo studio ha visto la randomizzazione di 792 pazienti, tra il marzo 2015 e il gennaio 2017. Nel dettaglio, 396 pazienti sono stati assegnati ad avelumab e 396 pazienti sono stati assegnati al braccio di controllo con docetaxel. Di questi, la popolazione di casi positivi per espressione di PD-L1 comprendeva 264 pazienti nel braccio sperimentale e 265 pazienti nel braccio di controllo.

Nell’analisi primaria, condotta come pianificato nella popolazione di casi positivi per espressione di PD-L1 pari ad almeno l’1%, non è stata evidenziata alcuna differenza significativa in sopravvivenza globale tra i 2 bracci dello studio. La sopravvivenza mediana è risultata pari a 11.4 mesi con avelumab e 10.3 mesi con docetaxel (hazard ratio 0.90, intervallo di confidenza al 96% 0.72 – 1.12, p 0.16).

Analisi esploratorie condotte nei sottogruppi di pazienti con espressione elevate di PD-L1 hanno mostrato un outcome migliore per I pazienti trattati con avelumab. Nel dettaglio, la sopravvivenza mediana nei casi con espressione di PD-L1 superiore al 50% è stata pari a 13.6 mesi con avelumab rispetto a 9.2 mesi con docetaxel. Nel sottogruppo ancora più selezionato di casi con espressione di PD-L1 superiore all’80%, la sopravvivenza mediana è stata pari a 17.1 mesi con avelumab rispetto a 9.3 mesi con docetaxel.

La percentuale di pazienti che hanno avuto eventi avversi di qualsiasi grado è risultata pari al 64% dei pazienti nel braccio sperimentale e all’86% dei pazienti nel braccio di controllo. Di contro, la percentuale di pazienti che hanno avuto eventi avversi severi (grado 3 o peggiore) è risultata pari al 10% dei pazienti nel braccio sperimentale rispetto al 49% dei pazienti nel braccio di controllo.

Nel braccio sperimentale trattato con avelumab, sono state registrate 4 morti legate al trattamento (pari all’1% della popolazione in studio): nel dettaglio, 2 decessi per tossicità polmonare, 1 decesso per insufficienza renale acuta e 1 decesso per miocardite autoimmune, insufficienza cardiaca acuta e insufficienza respiratoria. Nel braccio di controllo sono state invece registrate 14 morti “tossiche”, pari al 4% della popolazione in studio.

Lo studio Javelin Lung 200 non si aggiunge - per certi aspetti inaspettatamente - alla lista (ormai sufficientemente lunga) degli studi randomizzati che, avendo confrontato un farmaco immunoterapico con il docetaxel, hanno modificato negli ultimi anni il trattamento standard di seconda linea del NSCLC avanzato, dopo il fallimento di una linea di chemioterapia con platino.

L’abbondanza di farmaci disponibili in questo setting, che ha visto l’approvazione prima di nivolumab, poi di pembrolizumab e poi di atezolizumab, in assenza di evidenze di significative differenze che facciano preferire un farmaco rispetto all’altro, ha “affollato” la lista delle opzioni terapeutiche disponibili nella pratica clinica.

In questo scenario, ogni ulteriore farmaco che, confrontandosi con il precedente standard, ormai non più tale, vada ad aggiungersi alla lista dei farmaci approvati rappresenta, a tutti gli effetti, un farmaco “me too”.

Si sentiva il bisogno di un altro farmaco immunoterapico nel setting di seconda linea, avendone già 3 a disposizione? Sinceramente no. L’accrual dello studio Javelin Lung 200 è iniziato nella primavera del 2015. Pochi mesi dopo, venivano pubblicati sulle pagine del New England Journal of Medicine i risultati positivi di nivolumab, prima nell’istologia squamosa e poi nell’istologia non squamosa (peraltro già noti nei mesi precedenti). Successivamente è stato il turno di pembrolizumab (risultati pubblicati su Lancet nell’aprile 2016) e poi di atezolizumab (risultati pubblicati su Lancet a dicembre 2016), ma l’accrual nello studio di avelumab è proseguito, fino al completamento, nel gennaio 2017. I pazienti assegnati al braccio di controllo con docetaxel hanno avuto un trattamento che era già provato inferiore rispetto all’immunoterapia.

Il risultato negativo di avelumab va a mettere in dubbio l’efficacia dell’immunoterapia in questo setting? La risposta è sostanzialmente no. Nella discussione del lavoro, gli autori elencano varie possibili spiegazioni per il dato non significativo: la elevata percentuale di pazienti che, nel braccio di controllo, hanno ricevuto un trattamento immunoterapico (peraltro inevitabile e auspicabile, vista la disponibilità di trattamenti efficaci al momento della conduzione dello studio), la elevata percentuale di pazienti asiatici, le differenze nel test di espressione di PD-L1, la possibile differenza in efficacia a seconda dell’istologia squamosa o non squamosa.

Alla lista delle possibili spiegazioni va aggiunto in teoria anche il caso, con la possibilità di un risultato falso negativo.

Qualunque sia la spiegazione, comunque, questo risultato (che ovviamente merita la massima visibilità al pari degli studi con risultato positivo), non modifica lo scenario terapeutico del setting di seconda linea del NSCLC avanzato.