Patologia polmonare
Mercoledì, 21 Maggio 2014

Qual è il vero DELTA tra docetaxel ed erlotinib in seconda linea?

A cura di Massimo Di Maio

Pubblicati in extenso i risultati dello studio giapponese DELTA, che confrontava docetaxel ed erlotinib in pazienti pretrattati con platino, non selezionati per lo stato mutazionale di EGFR. La pubblicazione di JCO presenta anche i dati nel sottogruppo di pazienti EGFR-wild type.

Kawagughi T et al. Randomized Phase III Trial of Erlotinib Versus Docetaxel As Second- or Third-Line Therapy in Patients With Advanced Non–Small-Cell Lung Cancer: Docetaxel and Erlotinib Lung Cancer Trial (DELTA).J Clin Oncol published online on May 19, 2014.

Dopo la recente pubblicazione dello studio PROSE (vedi tweet del 18 maggio), anche i risultati dello studio giapponese DELTA sono ora pubblicati in extenso. Lo studio si aggiunge ai confronti  tra inibitore di tirosino chinasi di EGFR (nello specifico, erlotinib) e chemioterapia (nello specifico, docetaxel) come trattamento di seconda linea dei pazienti con NSCLC avanzato.


A differenza dello studio italiano TAILOR, che era limitato ai casi senza mutazione di EGFR, lo studio giapponese non selezionava per lo stato mutazionale, ma era prevista, oltre all'analisi primaria, un'analisi secondaria nei soli pazienti EGFR wild type.


Lo studio, che in verità era disegnato per verificare l'ipotesi di un vantaggio in PFS di erlotinib rispetto al docetaxel, va aggiungersi invece ai risultati che suggeriscono una maggiore efficacia della chemioterapia rispetto all'inibitore.

Lo studio DELTA ha visto la randomizzazione di 301 pazienti (150 assegnati ad erlotinib e 151 assegnati al docetaxel, alla dose standard in Giappone di 60 mg/mq ogni 3 settimane). L'analisi mutazionale, realizzata nell'85% dei pazienti, ha documentato un 20% circa di mutazioni.

A dispetto dell'ipotesi in studio, la PFS è risultata migliore con il docetaxel rispetto ad erlotinib, pur non raggiungendo la significatività statistica (PFS mediana 2.0 vs 3.2 mesi, Hazard Ratio 1.22, intervallo di confidenza al 95% 0.97 – 1.55, p=0.09). Non significativa la differenza in sopravvivenza globale (OS mediana 14.8 vs 12.2 mesi, Hazard Ratio 0.91, 95%CI 0.68-1.22, p=0.53).

Di interesse, per confrontarlo con TAILOR, il dato relativo al sottogruppo di pazienti EGFR wild type: PFS mediana 1.3 vs 2.9 mesi (Hazard Ratio 1.45, 95%CI 1.09 – 1.94, p=0.01); OS mediana 9.0 vs 10.1 mesi (Hazard Ratio 0.98, 95%CI 0.69 – 1.39, p=0.91).

I risultati globali dello studio sono in qualche modo condizionati dalla percentuale di casi con mutazione non trascurabile, come era prevedibile essendo lo studio condotto in Giappone.
Il dato relativo al confronto tra trattamenti nei pazienti wild-type conferma un vantaggio per la chemioterapia in termini di PFS, senza però evidenziare differenze significative in sopravvivenza globale.
Interessante l'articolo della serie Oncology Grand Rounds, a firma di Alona Zer e Natasha Leighl, che accompagna la pubblicazione del DELTA, commentando i risultati giapponesi e inserendoli nel contesto degli altri dati pubblicati. Zer e Leighl concludono che nei pazienti EGFR wild-type candidati a seconda linea la chemioterapia è l'opzione preferibile, mentre nei pazienti con stato mutazionale non noto la scelta andrebbe discussa con il paziente, tenendo presente il differente profilo di tossicità delle opzioni e sapendo, comunque, che specialmente in Occidente la maggior parte dei casi sono in realtà wild-type.