Patologia polmonare
Sabato, 05 Settembre 2015

Sbagliando s’impara! Le importanti lezioni di uno studio negativo.

A cura di Massimo Di Maio

La dimostrazione di efficacia nel setting adiuvante per i pazienti operati di tumore del polmone è, al momento, limitata alla chemioterapia. Lo studio RADIANT provava a dimostrare l’efficacia di erlotinib.. I pazienti però non erano selezionati per la mutazione di EGFR…

Kelly K, Altorki NK, Eberhardt WE, O'Brien ME, Spigel DR, Crinò L, Tsai CM, Kim JH, Cho EK, Hoffman PC, Orlov SV, Serwatowski P, Wang J, Foley MA, Horan JD, Shepherd FA. Adjuvant Erlotinib Versus Placebo in Patients With Stage IB-IIIA Non-Small-Cell Lung Cancer (RADIANT): A Randomized, Double-Blind, Phase III Trial. J Clin Oncol. 2015 Aug 31. [Epub ahead of print]

Lo studio RADIANT, pubblicato pochi giorni fa sul Journal of Clinical Oncology, è stato disegnato nel 2006. Lo studio prevedeva l’eleggibilità di pazienti operati per tumore del polmone non a piccole cellule, in stadio IB- IIIA (anche sottoposti a chemioterapia adiuvante), selezionati per la positività immunoistochimica dell’espressione di EGFR o per la posivitità alla FISH dell’amplificazione di EGFR.

Obiettivo dello studio era la dimostrazione dell’efficacia di erlotinib come terapia adiuvante.

I pazienti erano quindi assegnati, in rapporto 2:1, a ricevere erlotinib alla dose standard comunemente impiegata nella malattia avanzata (150 mg, con possibilità di riduzione di dose in base alla tossicità) o placebo, per un massimo di 2 anni.

Endpoint primario dello studio era la sopravvivenza libera da malattia (disease-free survival, DFS), e lo studio era dimensionato per verificare l’ipotesi di un prolungamento del 33% nella DFS (hazard ratio 0.75), con una potenza dell’80%.

Il piano di analisi statistica prevedeva che, in caso di risultato positivo a favore di erlotinib nell’endpoint primario, venissero testati anche:

  • La sopravvivenza globale nella popolazione generale dello studio;
  • La DFS nel sottogruppo di pazienti positivi per la mutazione di EGFR;
  • La sopravvivenza globale nel sottogruppo di pazienti positivi per la mutazione di EGFR.

Dopo un errore iniziale dell’etichettatura del farmaco, che ha portato all’esclusione dall’analisi dei primi 278 pazienti randomizzati, sono stati randomizzati e inseriti nell’analisi finale 973 pazienti (tra il novembre 2007 e il luglio 2010), grazie alla partecipazione di 204 centri distribuiti in 19 nazioni.

L’analisi primaria dello studio ha prodotto un risultato negativo, non evidenziando alcun beneficio a favore di erlotinib nella popolazione complessiva dello studio (Hazard Ratio 0.90, intervallo di confidenza al 95% 0.74 – 1.10). La DFS mediana risultava pari a 50.5 mesi nel braccio assegnato a erlotinib e 48.2 mesi nel braccio assegnato a placebo.

Nel sottogruppo di pazienti positivi per la presenza di mutazione di EGFR, la DFS è risultata migliore con erlotinib rispetto al placebo (hazard ratio 0.61, intervallo di confidenza al 95% 0.38 – 0.98), ma la significatività statistica di tale risultato è condizionata dal piano di analisi gerarchica che subordinava tale endpoint alla positività del risultato complessivo.

Come atteso, i pazienti assegnati ad erlotinib soffrivano più comunemente dei tipici effetti collaterali associati al farmaco (in particolare, tossicità cutanea e diarrea) rispetto al gruppo assegnato a placebo. La frequenza di tossicità cutanea di qualunque grado di severità è risultata pari all’86.4% con erlotinib, rispetto al 32.1% con placebo. La frequenza di diarrea di qualunque grado di severità è risultata pari al 52.2% con erlotinib, rispetto al 15.7% con placebo. Naturalmente, più contenuta è la percentuale di pazienti con tossicità severa durante trattamento con erlotinib: 22.3% e 6.2%, rispettivamente per quanto riguarda tossicità cutanea e diarrea….

Gli anni trascorsi dal disegno dello studio RADIANT alla sua pubblicazione si sentono tutti… Oggi la comunità scientifica è interessata all’efficacia di erlotinib nei pazienti selezionati per la presenza della mutazione di EGFR che, purtroppo, nel 2006 non è stata scelta come criterio di selezione. Il sottogruppo di pazienti EGFR mutati era quindi pari a poco più del 16% del totale, e il piano di analisi statistica dello studio non consente di concludere in maniera definitiva relativamente all’efficacia della terapia.

Il risultato negativo nella popolazione complessiva, peraltro, era ormai “scontato”, vista l’evidenza che si è accumulata negli anni relativamente alla forte interazione tra l’efficacia di erlotinib e la presenza della mutazione di EGFR.

Il risultato secondario nel sottogruppo di pazienti EGFR mutati è molto interessante, in quanto va nella direzione di un vantaggio con erlotinib. Nelle conclusioni del lavoro, gli autori sottolineano che uno studio intergruppo statunitense sta valutando l’efficacia di erlotinib come terapia adiuvante nei soli pazienti EGFR mutati, e tale studio fornirà sicuramente risposte più solide. Sicuramente, di fronte ad un prolungamento della sopravvivenza libera da malattia, rimangono aspetti importanti da discutere:

  • L’impiego di farmaci attivi al momento della recidiva di malattia consentirà di evidenziare un vantaggio anche in termini di sopravvivenza globale? La sopravvivenza globale era endpoint secondario nello studio RADIANT: i dati sono ancora immaturi, e al momento non si evidenziano differenze significative né nella popolazione complessiva né nel sottogruppo di pazienti EGFR mutati.
  • Qual è l’impatto sulla qualità di vita di un trattamento con erlotinib prolungato (nello studio RADIANT fino a 2 anni), in pazienti liberi da malattia e forse più “restii” a sopportare gli effetti collaterali del trattamento? Gli autori affrontano questo aspetto in discussione, ipotizzando la possibilità di testare dosi più basse di erlotinib, che comportano però il rischio di una efficacia potenzialmente inferiore.