Patologia polmonare
Sabato, 23 Gennaio 2021

L’onda dell’immunoterapia avanza nel mesotelioma

A cura di Massimo Di Maio

La combinazione di nivolumab e ipilimumab, dopo i risultati ottenuti in altri tumori, produce un significativo miglioramento della sopravvivenza rispetto alla chemioterapia standard. C’è qualcosa da migliorare sulla selezione dei pazienti, ma nel complesso è una buona notizia.

Paul Baas, Arnaud Scherpereel, Anna K Nowak, Nobukazu Fujimoto, Solange Peters, Anne S Tsao, Aaron S Mansfield, Sanjay Popat, Thierry Jahan, Scott Antonia, Youssef Oulkhouir, Yolanda Bautista, Robin Cornelissen, Laurent Greillier, Francesco Grossi, Dariusz Kowalski, Jerónimo Rodríguez-Cid, Praveen Aanur, Abderrahim Oukessou, Christine Baudelet, Gérard Zalcman. First-line nivolumab plus ipilimumab in unresectable malignant pleural mesothelioma (CheckMate 743): a multicentre, randomised, open-label, phase 3 trial. The Lancet, 2021, ISSN 0140-6736, https://doi.org/10.1016/S0140-6736(20)32714-8.

Da molti anni, lo standard di trattamento sistemico dei pazienti con mesotelioma pleurico rimane il trattamento chemioterapico con platino e pemetrexed. Tale standard si associa a una prognosi purtroppo insoddisfacente, con un modesto impatto sulla sopravvivenza globale.

Qualche anno fa, un incremento significativo della sopravvivenza globale è stato ottenuto, nell’ambito di uno studio randomizzato, con l’aggiunta del bevacizumab alla chemioterapia, ma tale combinazione non è approvata per l’impiego nella pratica clinica.

In numerose neoplasie solide, negli ultimi anni, l’immunoterapia ha prodotto risultati significativi. Nel mesotelioma pleurico, numerosi studi hanno evidenziato attività di farmaci anti-PD1 o anti-PDL1, con il maggior numero di evidenze prodotte nei pazienti che avessero fallito un precedente trattamento chemioterapico. Tali evidenze giustificano la sperimentazione dell’immunoterapia come alternativa al trattamento chemioterapico di prima linea, in particolare sperimentando la combinazione di nivolumab e ipilimumab che, in numerosi altri tumori, ha prodotto interessanti risultati di efficacia.

Lo studio CheckMate 743 è stato disegnato come studio randomizzato di fase III, in aperto. Lo studio è stato condotto in 103 centri di 21 paesi diversi.

Era prevista l’inclusione di pazienti di età superiore a 18 anni, con diagnosi di mesotelioma pleurico non precedentemente trattato, con conferma istologica, non eleggibile per trattamento chirurgico, con performance status 0 o 1 secondo la scala ECOG. La definizione di non eleggibilità al trattamento chirurgico era lasciata alla valutazione locale di ciascun centro, in accordo allo standard locale. Non era prevista selezione sulla base dell’espressione tissutale di PD-L1.

Lo studio prevedeva la randomizzazione, in rapporto 1:1. I pazienti assegnati al braccio sperimentale ricevevano nivolumab (alla dose di 3 mg/kg ogni 2 settimane) + ipilimumab (alla dose di 1 mg/kg ogni 6 settimane) per un massimo di 2 anni. I pazienti assegnati al braccio di controllo ricevevano chemioterapia con pemetrexed (alla dose di 500 mg/mq) + cisplatino (75 mg/mq) oppure carboplatino (AUC 5) ogni 3 settimane per un massimo di 6 cicli.

Endpoint primario era la sopravvivenza globale. Lo studio era disegnato per garantire il 90% di potenza nell’osservare un hazard ratio 0.72, con alfa 0.05. Il protocollo prevedeva la conduzione di un’analisi ad interim (quella presentata nella pubblicazione), da condurre dopo il raggiungimento di 403 eventi, pari all’85% degli eventi programmati per l’analisi finale.

Tra il 2016 e il 2018 sono stati randomizzati 605 pazienti, dei quali 303 sono stati assegnati alla combinazione sperimentale di nivolumab e ipilimumab e 302 sono stati assegnati alla chemioterapia con platino e pemetrexed.
La maggior parte dei pazienti randomizzati erano maschi (77%), con un’età mediana paria a 69 anni (range interquartile 64-75). Circa il 20% dei pazienti randomizzati aveva espressione di PD-L1 inferiore all’1%, mentre l’espressione era superiore all’1% nel rimanente 80%.

Poco più del 40% in entrambi i bracci dello studio ha ricevuto un trattamento antitumorale successivo alla progressione, e in particolare circa il 20% dei pazienti assegnati al trattamento chemioterapico ha ricevuto successivamente una immunoterapia.

Dopo un follow-up mediano pari a circa 30 mesi, l’analisi ad interim prevista dal protocollo ha evidenziato una sopravvivenza globale significativamente più lunga con nivolumab + ipilimumab rispetto alla chemioterapia.

Nel dettaglio, la sopravvivenza mediana è risultata pari a 18.1 mesi (intervallo di confidenza al 95% 16.8 – 21.4) con la combinazione dei 2 farmaci immunoterapici e pari a 14.1 mesi (intervallo di confidenza al 95% 12.4 – 16.2) con la chemioterapia, per un hazard ratio pari a 0.74 [intervallo di confidenza al 96.6% 0.60–0.91, p=0.002).

A 2 anni dalla randomizzazione, la probabilità di essere in vita era pari al 41% (intervallo di confidenza al 95% 35.1%–46.5%) nel braccio sperimentale, rispetto al 27% (intervallo di confidenza al 95% 21.9%–32.4%) nel braccio di controllo.

Nei pazienti con istologia non epitelioide, il trattamento sperimentale è risultato associato a hazard ratio 0.46 (intervallo di confidenza al 95% 0.31 – 0.68, OS mediana 18.1 mesi rispetto a 8.8 mesi con la chemioterapia). Nei pazienti con istologia epitelioide, il trattamento sperimentale è risultato associato a hazard ratio 0.86 (intervallo di confidenza al 95% 0.69 - 1.08, OS mediana 18.7 mesi vs 16.5 mesi con la chemioterapia).

Nei pazienti con espressione di PD-L1 superiore all’1%, il trattamento sperimentale è risultato associato a hazard ratio 0.69 (intervallo di confidenza al 95% 0.55 – 0.87, OS mediana 18 mesi rispetto a 13.3 mesi con la chemioterapia). Nei pazienti con espressione di PD-L1 inferiore all’1%, il trattamento sperimentale è risultato associato a hazard ratio 0.94 (intervallo di confidenza al 95% 0.62 - 1.40, OS mediana 17.3 mesi vs 16.5 mesi con la chemioterapia).

Eventi avversi severi (grado 3-4) correlati al trattamento sono stati riportati nel 30% dei pazienti trattati con nivolumab + ipilimumab e nel 32% dei pazienti trattati con la chemioterapia. In 3 casi (pari all’1%), la tossicità determinata dal trattamento sperimentale è risultata letale (1 caso di polmonite, 1 caso di encefalite e 1 caso di insufficienza cardiaca), rispetto ad 1 solo caso (pari a una percentuale inferiore all’1%) nel braccio di controllo (tossicità midollare).

Sulla base dei risultati sopra sintetizzati, gli autori concludono che la combinazione di nivolumab e ipilimumab come trattamento di prima linea dei pazienti con mesotelioma pleurico ha consentito di ottenere un miglioramento della sopravvivenza globale statisticamente significativo e clinicamente rilevante.

La rilevanza clinica del beneficio è supportata dalla dimensione del vantaggio rispetto all’attuale standard, sia in termini di aspettativa di vita mediana (4 mesi) sia in termini di incremento della probabilità di essere in vita a 2 anni dalla randomizzazione (circa 14 punti percentuali).

Gli autori, nella discussione dell’articolo, prendono in considerazione il dato della possibile eterogeneità del risultato in base all’istologia e in base all’espressione di PD-L1, ma considerano l’evidenza non sufficiente a considerare entrambi quei parametri come possibili fattori predittivi utili per la selezione del trattamento. Il problema della possibile interazione tra l’efficacia dell’immunoterapia e il sottotipo istologico, nonché l’espressione di PD-L1, è invece ripreso nell’editoriale che accompagna la pubblicazione dell’articolo.

Altri aspetti giustamente sottolineati nell’editoriale sono:

- La percentuale non trascurabile di progressioni precoci nel braccio trattato con immunoterapia, che rende auspicabile una miglior selezione dei casi candidati al trattamento immunoterapico.

- La problematica applicabilità dei risultati di questo studio ai pazienti che siano in condizioni più scadute al momento della decisione relativa al trattamento di prima linea, in quanto lo studio (al pari della pressoché totalità degli studi registrativi) prevedeva l’inclusione dei soli pazienti in buone condizioni generali, con performance status 0 oppure 1.

Qualche mese fa, a ottobre 2020, la U.S. Food and Drug Administration ha approvato l’impiego della combinazione di nivolumab e ipilimumab per i pazienti con mesotelioma pleurico candidati a trattamento di prima linea. Al momento, la combinazione di nivolumab e ipilimumab, approvata in Europa per l’impiego in altre indicazioni (ma non rimborsata in Italia), non è approvata per l’impiego in pratica clinica nei pazienti con mesotelioma pleurico.