Patologia polmonare
Venerdì, 10 Settembre 2021

Mesotelioma: nel panorama internazionale arrivano importanti novità dall’Italia

A cura di Giuseppe Aprile

Dopo il fallimento della combinazione di cisplatino e pemetrexed, la terapia di seconda linea rimane incerta e riservata a paziente con performance status ottimale. Un nuovo studio apre le porte alla combinazione di gemcitabina e ramucirumab. 

Pinto C, Zucali PA, Pagano M, Grosso F, Pasello G, Garassino MC, Tiseo M, Soto Parra H, Grossi F, Cappuzzo F, de Marinis F, Pedrazzoli P, Bonomi M, Gianoncelli L, Perrino M, Santoro A, Zanelli F, Bonelli C, Maconi A, Frega S, Gervasi E, Boni L, Ceresoli GL. Gemcitabine with or without ramucirumab as second-line treatment for malignant pleural mesothelioma (RAMES): a randomised, double-blind, placebo-controlled, phase 2 trial. Lancet Oncol. 2021 Sep 6

Il trattamento di questa rara neoplasia - spesso diagnosticata in una fase in cui l’estensione rende poco probabile l’intervento chirurgico – non ha fatto grandi passi avanti. Da 15 anni lo standard rimane la combinazione di platino e pemetrexed e la sola combinazione di nivolumab e ipilimumab si è recentemente dimostrata superiore alla chemioterapia in prima linea [trial CheckMate 743].

Il trattamento dopo la prima progressione rimane una possibilità ragionevole solo per pazienti con buon PS, utilizzando farmaci non cross-resistenti. Tra quelli testati, nessuno ha dato risultati entusiasmanti in attività e spesso è scelta una terapia con gemcitabina [per il profilo di tollerabilità]. Mentre alcuni studi promuovono l’uso di immunoterapia in pazienti pretrattati [trial PROMISE e CONFIRM], lo studio di fase II, tutto italiano, ha testato la combinazione di gemcitabina e ramucirumab, un anticorpo con azione antiangiogenica che inibisce selettivamente il dominio extracellulare di VEGFR2.

Lo studio randomizzato di fase II RAMES prevedeva nel braccio standard terapia con sola gemcitabina settimanale alla dose di 1000 mg/mq [giorni 1, q21] + placebo; in quello sperimentale i pazienti ricevevano lo stesso chemioterapico asociato a ramucirumab 10 mg/Kg ogni tre settimane.

Fattori di stratificazione erano il PS ECOG, età, istologia e il tempo alla prima progressione.

Endpoint primario dello studio era la sopravvivenza overall, anche considerata la difficoltà nel determinare l'evoluzione radiologica della patologia oncologica specifica.

Lo studio ha arruolato 160 pazienti nei due bracci di trattamento e i dati sono stati pubblicati dopo un follow-up mediano di quasi due anni.

La sintesi dei risultati principali della sperimentazione è presto fatta:

La sopravvivenza mediana è stata di 13.8 mesi nel braccio sperimentale e di 7.5 mesi in quello standard con una HR di 0.71, 70%CI 0.59-0.85, p 0.028.

Il trattamento di combinazione ha portato una maggiore incidenza di neutropenia severa e ipertensione arteriosa.

Lo studio RAMES dimostra un vantaggio in sopravvivenza clinicamente rilevante per la combinazione di gemcitabina e ramucirumab vs la sola gemcitabina, indipendentemente dall'istologia e dall'outcome della prima linea di terapia.

Complimenti quindi agli investigatori del trial, tutti italiani, che hanno pubblicato i risultati su Lancet Oncology.

Una vera e propria rivoluzione? Forse no, almeno non nel contesto attuale di espansione dell’uso di immunoterapici [anche in prima linea], ma certamente un significativo passo avanti in una patologia difficile confinata in un ambiente terapeutico semidesertico che lascia dubbi sulla reale efficacia della switch maintenance.

Che gli antiangiogenici potessero avere un effetto favorevole in questa patologia lo aveva già dimostrato il trial MAPS [Zalcman G, et al. Lancet 2016] dove l’aggiunta del bevacizumab alla doppietta standard in prima linea otteneva migliore efficacia in PFS e OS, ma il trial RAMES offre certamente una sponda al loro utilizzo in pazienti pretrattati.