Patologia polmonare
Sabato, 05 Novembre 2022

Poseidon era il dio dei terremoti… Ma lo studio che porta il suo nome non sarà un terremoto…

A cura di Massimo Di Maio

L’associazione di durvalumab e tremelimumab alla chemioterapia si somma alla lista di combinazioni di immunoterapia e chemioterapia che hanno prodotto risultati positivi nel trattamento di prima linea del NSCLC avanzato… ma più che vera innovazione si tratta di un risultato “me too”.

Johnson ML, Cho BC, Luft A, Alatorre-Alexander J, Geater SL, Laktionov K, Kim SW, Ursol G, Hussein M, Lim FL, Yang CT, Araujo LH, Saito H, Reinmuth N, Shi X, Poole L, Peters S, Garon EB, Mok T; POSEIDON investigators. Durvalumab With or Without Tremelimumab in Combination With Chemotherapy as First-Line Therapy for Metastatic Non-Small-Cell Lung Cancer: The Phase III POSEIDON Study. J Clin Oncol. 2022 Nov 3:JCO2200975. doi: 10.1200/JCO.22.00975. Epub ahead of print. PMID: 36327426.

Da vari anni, le combinazioni di chemioterapia e immunoterapia si sono affermate come trattamento standard di prima linea per i pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule (non small cell lung cancer, NSCLC) metastatico.

Mentre l’immunoterapia con farmaci anti-PD1 o anti-PDL1 da soli è un’opzione standard per i casi con PDL1 elevato, nei casi con PDL1 assente o inferiore al 50% la chemioterapia rimane parte del trattamento, insieme con l’immunoterapia.

Come spesso accaduto in vari setting, farmaci diversi sono stati sviluppati praticamente in parallelo: è il caso del pembrolizumab, dell’atezolizumab, della combinazione di nivolumab e pembrolizumab. A questa lista si aggiunge la combinazione di durvalumab e tremelimumab, sperimentata in combinazione con la chemioterapia nello studio di fase III Poseidon.

Lo studio prevedeva l’inclusione di pazienti affetti da tumore del polmone non a piccole cellule metastatico, wild type per EGFR e per ALK, candidati a trattamento di prima linea.

I pazienti erano assegnati in rapporto 1:1:1 al braccio di controllo o a uno dei due bracci sperimentali.

  • I pazienti assegnati al braccio di controllo ricevevano chemioterapia contenente platino (per un massimo di 6 cicli, con eventuale mantenimento con pemetrexed.
  • I pazienti assegnati al primo braccio sperimentale ricevevano, in aggiunta alla chemioterapia, durvalumab alla dose di 1500 mg e tremelimumab alla dose di 75 mg, fino a un massimo di 4 cicli, seguiti da una singola dose aggiuntiva di tremelimumab e a mantenimento con durvalumab ogni 4 settimane fino a progressione.
  • I pazienti assegnati al secondo braccio sperimentale ricevevano, in aggiunta alla chemioterapia, durvalumab alla dose di 1500 mg, fino a un massimo di 4 cicli, seguiti da mantenimento con durvalumab ogni 4 settimane fino a progressione.

Endpoint primari dello studio erano la sopravvivenza libera da progressione (progression-free survival, PFS) e la sopravvivenza globale (overall survival, OS) nel confronto tra durvalumab + chemioterapia vs chemioterapia da sola.

La PFS e l’OS del secondo confronto (durvalumab + tremelimumab + chemioterapia vs chemioterapia da sola) erano endpoint secondari dello studio.

Non era previsto un confronto formale diretto tra i due bracci sperimentali, che differivano per la presenza del tremelimumab.

Lo studio ha randomizzato complessivamente 1013 pazienti.

Confronto durvalumab + chemioterapia vs chemioterapia:

  • PFS significativamente migliorata (hazard ratio 0.74; intervallo di confidenza al 95% 0.62 - 0.89; p = 0.0009; PFS mediana 5.5 vs 4.8 mesi.
  • OS numericamente migliore nel braccio sperimentale, ma differenza non statisticamente significativa (hazard ratio 0.86; intervallo di confidenza al 95% 0.72 - 1.02; p = 0.0758; OS mediana 13.3 vs 11.7 mesi, sopravvivenza a 24 mesi dalla randomizzazione 29.6% vs 22.1%).

Confronto durvalumab + tremelimumab + chemioterapia vs chemioterapia:

  • PFS significativamente migliorata (Hazard Ratio 0.72; intervallo di confidenza al 95% 0.60 - 0.86; p = 0.0003; PFS mediana 6.2 vs 4.8 mesi)
  • OS significativamente migliorata (Hazard Ratio 0.77; intervallo di confidenza al 95% 0.65 - 0.92; p = 0.0030; OS mediana 14.0 vs 11.7 mesi; sopravvivenza a 24 mesi dalla randomizzazione 32.9% vs 22.1%).

Eventi avversi attribuiti al trattamento di grado 3 o 4 si sono verificati nel 51.8% dei pazienti assegnati alla combinazione di durvalumab + tremelimumab + chemioterapia, nel 44.6% dei pazienti assegnati alla combinazione di durvalumab + chemioterapia e nel 44.4% di pazienti assegnati al braccio di controllo.

Interruzioni definitive del trattamento dovute ad eventi avversi si sono verificate nel 15.5% dei pazienti assegnati alla combinazione di durvalumab + tremelimumab + chemioterapia, nel 14.1% dei pazienti assegnati alla combinazione di durvalumab + chemioterapia e nel 9.9% di pazienti assegnati al braccio di controllo.

Commentando i risultati sopra sintetizzati, gli autori della pubblicazione di JCO commentano che l’aggiunta alla chemioterapia di prima linea del solo durvalumab ha determinato un aumento significativo della sopravvivenza libera da progressione, mentre l’aggiunta del tremelimumab oltre al durvalumab ha determinato un miglioramento significativo non solo della PFS ma anche della sopravvivenza globale, senza un peggioramento inaccettabile della tossicità. Sulla base di tali risultati, la combinazione di durvalumab + tremelimumab + chemioterapia rappresenta, a detta degli autori, una potenziale nuova opzione nel trattamento di prima linea del NSCLC metastatico.

“Potenziale nuova opzione”: le conclusioni sono “diplomatiche”, ma la domanda è: alla luce dei vari schemi di combinazione di chemioterapia e immunoterapia già disponibili in pratica clinica, c’è bisogno di una potenziale nuova opzione? Quale vantaggio avrebbe questo trattamento rispetto agli standard attuali, che hanno reso ovviamente obsoleto il trattamento con sola chemioterapia del braccio di controllo?

Sfortunatamente, l’obiettivo primario dello studio era la valutazione dell’aggiunta del solo durvalumab, e questo porta a definire formalmente negativo lo studio (in quanto il solo durvalumab impatta significativamente sulla PFS (peraltro con un vantaggio mediano di dubbia rilevanza clinica) ma senza differenze significative in sopravvivenza globale). Al contrario, la valutazione dell’aggiunta della “doppietta” immunoterapica con durvalumab e tremelimumab alla chemioterapia si è conclusa positivamente, con un vantaggio significativo sia in PFS che in OS, ma era “relegata” a endpoint secondario, e quindi non sposta formalmente la valutazione complessiva dello studio.

Si tratta, insomma, di un “me too”? Probabilmente sì. Nell’editoriale che accompagna la pubblicazione dello studio, a cura di Jordi Remon e Martin Reck, gli autori si sbilanciano ad affermare che lo studio Poseidon non dovrebbe cambiare la pratica clinica. Discutono anche, con un certo interesse, le analisi di sottogruppo sulla base dell’espressione di PDL1, che suggeriscono che il vantaggio dell’aggiunta di tremelimumab al durvalumab e alla chemioterapia sia particolarmente rilevante nel sottogruppo dei casi con espressione di PDL1 inferiore all’1%. Per quest’ultima considerazione, e per le sue implicazioni cliniche, valgono tutti i limiti delle analisi di sottogruppo. Inoltre, pesa l’assenza di confronti diretti tra gli schemi oggi disponibili con l’aggiunta del solo antiPD1 alla chemioterapia (es. pembrolizumab + chemioterapia) e gli schemi che prevedono l’aggiunta di antiPD1 + antiCTLA4 (es. mivolumab + ipilimumab + chemioterapia).