Patologia polmonare
Sabato, 02 Aprile 2016

Se la PET non “si spegne” a sufficienza, proviamo a cambiare farmaco?

A cura di Massimo Di Maio

Un vantaggio della chemioterapia neoadiuvante è quello di testare “in tempo reale” la sensibilità del tumore. Cambiare in corsa, in assenza di risposta, è utile? Non lo sappiamo, ma uno studio basato su risposta PET ed eventuale cambio di farmaci pone interessanti basi.

Chaft JE, Dunphy M, Naidoo J, Travis WD, Hellmann M, Woo K, Downey R, Rusch V, Ginsberg MS, Azzoli CG, Kris MG. Adaptive Neoadjuvant Chemotherapy Guided by (18)F-FDG PET in Resectable Non-Small Cell Lung Cancers: The NEOSCAN Trial. J Thorac Oncol. 2016 Apr;11(4):537-44.

Mentre la chemioterapia adiuvante è entrata nelle linee guida e nella pratica clinica per i pazienti con NSCLC in stadio II – III sottoposti a chirurgia, la chemioterapia neoadiuvante, che pure ha dimostrato un vantaggio in sopravvivenza rispetto alla sola chirurgia, non è comunemente impiegata nella pratica clinica.

Uno dei vantaggi del trattamento neo-adiuvante, a differenza della chemioterapia post-operatoria, è che consente una valutazione “in tempo reale” della sensibilità delle cellule tumorali al trattamento intrapreso. La risposta alla PET mediante 18FDG correla con l’outcome clinico, anche meglio rispetto alla risposta obiettiva secondo i classici criteri RECIST.

Al di là del valore prognostico della presenza o assenza di risposta metabolica, però, non è noto se sia utile un eventuale cambio di farmaci dettato dalla risposta PET: in altre parole, chi non si beneficia, dopo un numero limitato di cicli, dello schema di terapia inizialmente intrapreso, può giovarsi di un altro schema di chemioterapia?

Autori statunitensi hanno studiato, in un trial di fase II, l’attività di un “cambio” di chemioterapia in un gruppo di pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule in stadio IB – IIIA, nei quali i primi 2 cicli di chemioterapia neoadiuvante non avessero prodotto una risposta PET soddisfacente.
Erano eleggibili per il protocollo pazienti che avessero un tumore di almeno 2 centimetri di diametro, con un picco del valore di SUV (standard uptake value) alla PET uguale o superiore a 4.5.

I pazienti erano sottoposti a PET/CT basale, prima dell’inizio della chemioterapia neoadiuvante. Successivamente ricevevano 2 cicli di chemioterapia con cisplatino (o carboplatino) + gemcitabina in caso di tumore squamoso oppure cisplatino (o carboplatino) + pemetrexed in caso di adenocarcinoma.

Dopo i 2 cicli di trattamento, venivano sottoposti a una seconda PET. Se il picco del valore di SUV si era ridotto di almeno il 35%, il paziente continuava la medesima chemioterapia. Al contrario, se il picco di SUV era aumentato o si era ridotto ma meno del 35%, il paziente interrompeva la precedente chemioterapia e riceveva la combinazione di vinorelbina e docetaxel.

Lo studio era dimensionato secondo un disegno di Simon a due stadi, basato sulla proporzione di risposte PET ottenute con vinorelbina e docetaxel nel gruppo di pazienti che precedentemente non avevano risposto ai primi 2 cicli di chemioterapia con platino.

Lo studio ha visto il trattamento di 40 pazienti.

Di essi, 15 pazienti (pari al 38%) dopo 2 cicli di trattamento non avevano ottenuto una risposta PET, in quanto avevano ottenuto una riduzione del picco di SUV inferiore al 35%. Tredici di questi 15 pazienti sono stati poi trattati con vinorelbina e docetaxel.

Lo studio si è concluso con un risultato positivo, in quanto sono state osservate 10 risposte PET (per una proporzione di risposte pari al 67%).

La chemioterapia è stata complessivamente ben tollerata, senza compromettere la successiva esecuzione dell’intervento chirurgico.

Lo studio pubblicato sul Journal of Thoracic Oncology si è concluso con un risultato ampiamente positivo. Già al primo stadio, infatti, è stato abbondantemente superato il numero minimo di risposte necessario per concludere positivamente l’intero studio, e non è stato necessario arruolare i pazienti previsti per il secondo stadio.

Poter sfruttare una valutazione precoce dell’attività, quale l’esecuzione di una PET dopo 2 cicli, per “cambiare in corsa” il trattamento nei pazienti che non hanno ottenuto una risposta soddisfacente dopo i primi 2 cicli, e osservare con il trattamento diverso una elevata proporzione di risposte, è sicuramente un risultato interessante.

Il passo successivo dovrebbe essere quello di testare l’efficacia di tale strategia nell’ambito di uno studio di fase III: il braccio di controllo dovrebbe ricevere la chemioterapia standard senza modifiche “in corsa”, mentre il braccio sperimentale, dopo la dimostrazione di una risposta non soddisfacente alla PET, dovrebbe ricevere la chemioterapia alternativa.

Pur con tutti i limiti di un piccolo studio non controllato, la chemioterapia neoadiuvante si conferma un setting affascinante per le possibilità di valutazione “in tempo reale” dell’attività dei trattamenti.