Patologia polmonare
Sabato, 25 Settembre 2021

“Terapia adiuvante” per il tumore del polmone: non significherà più soltanto chemio?

A cura di Massimo Di Maio

Pubblicati da Lancet i risultati dello studio IMpower010, che ha valutato l’efficacia dell’immunoterapico atezolizumab in pazienti operati per un tumore del polmone, dopo la chemioterapia adiuvante. L’immunoterapia sarà standard terapeutico anche negli stadi precoci?

Felip E, Altorki N, Zhou C, Csőszi T, Vynnychenko I, Goloborodko O, Luft A, Akopov A, Martinez-Marti A, Kenmotsu H, Chen YM, Chella A, Sugawara S, Voong D, Wu F, Yi J, Deng Y, McCleland M, Bennett E, Gitlitz B, Wakelee H; IMpower010 Investigators. Adjuvant atezolizumab after adjuvant chemotherapy in resected stage IB-IIIA non-small-cell lung cancer (IMpower010): a randomised, multicentre, open-label, phase 3 trial. Lancet. 2021 Sep 17:S0140-6736(21)02098-5. doi: 10.1016/S0140-6736(21)02098-5. Epub ahead of print. PMID: 34555333.

I pazienti operati per un tumore del polmone non a piccole cellule (non-small cell lung cancer, NSCLC) hanno un rischio di recidiva non trascurabile, e in assenza di controindicazioni, almeno per I pazienti in stadio II e III viene proposta una chemioterapia adiuvante con platino. La chemioterapia ha infatti dimostrato un significativo beneficio in termini di miglioramento della sopravvivenza globale.

Di recente, importanti novità sono venute dall’impiego, nel setting adiuvante, dell’inibitore dell’ Epidermal Growth Factor receptor (EGFR) osimertinib nei casi caratterizzati dalla presenza di mutazione dell’EGFR, in quanto tale farmaco ha dimostrato un chiaro beneficio in termini di sopravvivenza libera da malattia, nell’ambito di uno studio randomizzato che prevedeva il confronto con placebo in chi avesse già completato la chemioterapia adiuvante oppure non avesse avuto indicazione a riceverla.

Se il suddetto studio rappresenta la prima, importante premessa per l’introduzione dei farmaci a bersaglio molecolare nel setting adiuvante, in questi anni importanti studi clinici stanno valutando nel medesimo setting l’altra classe di farmaci innovativi ormai standard nella malattia avanzata, vale a dire l’immunoterapia.

In questo scenario si inserisce lo studio IMpower 010, studio randomizzato di fase III, multicentrico, internazionale, in aperto, che ha valutato l’efficacia del farmaco immunoterapico antiPD-L1 atezolizumab dopo il completamento della chemioterapia adiuvante.

Lo studio prevedeva l’inclusione di pazienti precedentemente sottoposti a resezione chirurgica radicale, in stadio patologico compreso tra IB (tumori di dimensioni superiori a 4 cm) e IIIA.

Tutti i pazienti avevano ricevuto chemioterapia adiuvante contenente platino (da 1 a 4 cicli).

I pazienti erano randomizzati in rapporto 1:1 tra il braccio sperimentale e il braccio di controllo.

  • I pazienti assegnati al braccio sperimentale ricevevano atezolizumab alla dose standard di 1200 mg ogni 3 settimane per 16 cicli (1 anno).
  • I pazienti assegnati al braccio di controllo non ricevevano trattamento attivo, ma erano sottoposti a visite e controlli strumentali periodici.

Endpoint primario dello studio era la sopravvivenza libera da malattia (disease-free survival, DFS) sulla base della valutazione degli sperimentatori.

Il protocollo prevedeva un’analisi gerarchica, per cui la superiorità del trattamento sperimentale in termini di DFS sarebbe stata testata prima nella popolazione di pazienti in stadio II-IIIA con positività immunoistochimica del PD-L1 sulle cellule tumorali. In caso di risultato positivo in tale sottogruppo, la superiorità sarebbe stata testata nell’intera popolazione in stadio II-IIIA (indipendentemente dall’espressione di PD-L1, e infine nell’intera popolazione randomizzata (comprendente quindi anche i pazienti in stadio IB).

Tra ottobre 2015 e settembre 2018 sono stati randomizzati nello studio 1005 pazienti. Nel dettaglio, 507 sono stati randomizzati ad atezolizumab e 498 al braccio di controllo.

L’analisi è stata condotta dopo un follow-up mediano pari a 32.2 mesi nei pazienti in stadio II-IIIA.

Nella popolazione dell’analisi primaria (pazienti in stadio II-IIIA con espressione di PD-L1) l’impiego di atezolizumab è risultato associato a un significativo miglioramento della DFS (hazard ratio 0.66, intervallo di confidenza al 95% 0.50 – 0.88, p=0.0039).

Analogamente, nella popolazione di pazienti in stadio II-IIIA, indipendentemente dall’espressione di PD-L1, l’impiego di atezolizumab è risultato associato a un significativo miglioramento della DFS (hazard ratio 0.79, intervallo di confidenza al 95% 0.64- 0.96, p=0.020).

Infine, nella popolazione complessiva (comprendente anche i pazienti in stadio IB e qualunque espressione di PD-L1), il miglioramento della DFS osservato con l’impiego di atezolizumab (hazard ratio 0.81, intervallo di confidenza al 95% 0.67–0.99; p=0.040), non ha raggiunto la soglia di significatività statistica imposta dal protocollo.

L’11% dei pazienti trattati con atezolizumab ha avuto eventi avversi severi (di grado 3 o 4), con 5 decessi attribuiti al trattamento (1%).

Sulla base dei risultati sopra sintetizzati, gli autori dell’articolo evidenziano quanto il trattamento adiuvante con atezolizumab, avendo dimostrato un beneficio significativo in sopravvivenza libera da malattia, rappresenti un’opzione promettente per il futuro impiego nella pratica clinica.

Punti di forza dello studio:

  • Il vantaggio significativo, con un beneficio non trascurabile sul piano della dimensione assoluta, in sopravvivenza libera da malattia.
  • L’impiego di un trattamento ormai ben conosciuto nella malattia avanzata, quindi con un profilo di tossicità noto.

Punti di debolezza:

  • Il vantaggio si riduce includendo i casi senza espressione di PD-L1 e includendo i casi in stadio I. L’analisi gerarchica prevedeva la progressiva inclusione di questi casi (nei quali il beneficio atteso è ipoteticamente minore) nella popolazione analizzata. Il risultato complessivo potrà quindi essere positivo anche se “diluito” dall’inclusione di pazienti con un beneficio minore, ma l’effettivo vantaggio specificamente in tali sottogruppi rimane da dimostrare.
  • La chemioterapia ha dimostrato un beneficio in sopravvivenza globale, che è l’endpoint più solido per considerare un trattamento adiuvante sicuramente efficace. Un grande dibattito ha accompagnato la pubblicazione dei risultati ottenuti con osimertinib, associato a un inequivocabile vantaggio in termini di DFS. Basta un vantaggio in DFS a sancire la rilevanza clinica di un trattamento adiuvante? Oppure sarebbe necessario aspettare i risultati in sopravvivenza globale, che inevitabilmente richiedono un tempo più lungo?
  • Quale sarà il trattamento sistemico dei pazienti che ricadono dopo un trattamento adiuvante che abbia incluso non solo la chemioterapia ma anche l’immunoterapia? Ragionevolmente sarà influenzato dal tempo trascorso dalla fine del trattamento, ma occorrono evidenze più solide anche su questo aspetto, non considerato nell’analisi primaria dello studio (che si incentrava sulla DFS e quindi “seguiva” i pazienti fino all’eventuale ripresa di malattia) ma sicuramente di grane rilevanza per la futura pratica clinica, se e quando l’immunoterapia diventerà parte dello standard terapeutico nel setting adiuvante.