Patologia genito-urinaria
Sabato, 18 Marzo 2023

Non sempre fare di più vuol dire fare meglio: quando il tumore della prostata è a basso rischio si deve necessariamente trattare?

A cura di Massimo Di Maio

I risultati a 15 anni di follow-up dello studio ProtecT evidenziano che la mortalità specifica per tumore della prostata rimane veramente bassa non solo in chi si opera o riceve radioterapia, ma anche in chi si sottopone a sorveglianza attiva. Ovviamente, decidere di non trattare subito presuppone un’attenta comunicazione con il paziente.

Hamdy FC, Donovan JL, Lane JA, Metcalfe C, Davis M, Turner EL, Martin RM, Young GJ, Walsh EI, Bryant RJ, Bollina P, Doble A, Doherty A, Gillatt D, Gnanapragasam V, Hughes O, Kockelbergh R, Kynaston H, Paul A, Paez E, Powell P, Rosario DJ, Rowe E, Mason M, Catto JWF, Peters TJ, Oxley J, Williams NJ, Staffurth J, Neal DE; ProtecT Study Group. Fifteen-Year Outcomes after Monitoring, Surgery, or Radiotherapy for Prostate Cancer. N Engl J Med. 2023 Mar 11. doi: 10.1056/NEJMoa2214122. Epub ahead of print. PMID: 36912538.

I risultati dello studio randomizzato ProtecT sono stati pubblicati nel 2016 sul New England Journal of Medicine (N Engl J Med 2016 Oct 13;375(15):1415-1424). Lo studio ha confrontato l’outcome di chirurgia, radioterapia e “active monitoring” in 1643 pazienti di età compresa tra 50 e 69 anni, che avessero ricevuto diagnosi di neoplasia prostatica localizzata e fossero disposti ad essere randomizzati tra le 3 strategie terapeutiche. Quei pazienti erano stati identificati nell’ambito di un programma di screening condotto tra il 1999 e il 2009 mediante esecuzione del PSA in soggetti di età compresa tra 50 e 69 anni.

Dei 1643 pazienti che avevano accettato di essere randomizzati, 545 erano stati assegnati a sorveglianza attiva, 553 a prostatectomia e 545 a radioterapia.

Lo studio ha evidenziato un maggior rischio di progressione nel gruppo randomizzato a sorveglianza attiva rispetto ai trattamenti locali, ma una mortalità complessivamente bassa, senza differenze significative tra i 3 gruppi.

Già nel 2019, qualche anno dopo la pubblicazione primaria, avevamo commentato su Oncotwitting i risultati maturi dello studio (https://www.oncotwitting.it/patologia-genito-urinaria/quando-il-tumore-della-prostata-e-a-basso-rischio-operare-irradiare-o-aspettare#top_tab_acc2). In quell’occasione, i dati già confermavano la mortalità molto bassa anche nel gruppo di sorveglianza attiva, sottolineando la maggiore incidenza di eventi avversi con impatto negativo sulla qualità di vita nei pazienti sottoposti a trattamento attivo.

Adesso, i risultati dello studio sono pubblicati sulle pagine del New England Journal of Medicine con un follow-up mediano di 15 anni.

I gruppi dello studio sono stati confrontati in termini di mortalità specifica per tumore della prostata (endpoint primario).

Endpoint secondari erano la mortalità per tutte le cause, insorgenza di metastasi, diagnosi di progressione di malattia (un endpoint composito in cui la definizione dell’evento era dettata da insorgenza di metastasi, malattia in stadio T3 o T4, inizio di terapia ormonale a lungo termine, fistola rettale, ostruzione ureterale o necessità di cateterizzazione urinaria a causa della crescita del tumore) e inizio di terapia di deprivazione androgenica a lungo termine.

Le informazioni di follow-up erano complete per 1610 pazienti, pari al 98% della popolazione randomizzata.

Sulla base delle caratteristiche di malattia, più di un terzo dei pazienti alla diagnosi aveva un rischio intermedio o alto.

Complessivamente, sono stati registrati 45 decessi per tumore della prostata (pari al 2.7% della popolazione dello studio): nel dettaglio, 17 decessi (3.1%) nel gruppo sottoposto a sorveglianza attiva, 12 decessi (2.2%) nel gruppo sottoposto a prostatectomia e 16 decessi (2.9%) nel gruppo sottoposto a radioterapia (p=0.53).

La mortalità per qualsiasi causa è risultata simile nei 3 gruppi, nella maggior parte dei casi per patologie cardiovascolari o respiratorie o per altri tumori.
51 soggetti hanno ricevuto una diagnosi di tumore della prostata metastatico (9.4%) nel braccio sottoposto a monitoraggio attivo, rispetto a 26 (4.7%) nel braccio sottoposto a prostatectomia e 27 (5.0%) nel braccio sottoposto a radioterapia.

Una terapia di deprivazione androgenica a lungo termine è stata iniziata in 69 soggetti (12.7%) nel braccio sottoposto a monitoraggio attivo, rispetto a 40 (7.2%) nel braccio sottoposto a chirurgia e 42 (7.7%) nel braccio sottoposto a radioterapia.

Anche la percentuale di progressione clinica è risultata maggiore nel braccio sottoposto a monitoraggio attivo: 141 soggetti (25.9%) rispetto a 58 (10.5%) con la chirurgia e 60 (11.0%) con la radioterapia.

Nel gruppo sottoposto a sorveglianza attiva, a distanza di 15 anni il 61.1% aveva ricevuto un trattamento radicale, e il 24.4% era ancora vivo a 15 anni senza aver mai ricevuto un trattamento radicale né aver iniziato una terapia ormonale.

Le analisi di sottogruppo hanno suggerito qualche differenza in mortalità cancro-specifica sulla base dell’età (con i trattamenti attivi associati a una mortalità minore nei soggetti di oltre 65 anni e la radioterapia associata a una mortalità maggiore nei soggetti più giovani), ma con dati assoluti di mortalità complessivamente bassi anche nei singoli sottogruppi. Nessuna informazione decisiva viene dall’analisi di sottogruppo sulla base del valore del PSA o delle categorie di rischio.

Sulla base dei risultati sopra sintetizzati, gli autori concludono che, anche con un follow-up molto maturo, la mortalità specifica per tumore della prostata in una popolazione di pazienti con diagnosi ricevuta nell’ambito di un programma di screening mediante PSA rimane molto bassa, indipendentemente dal trattamento ricevuto.

Pertanto, gli autori adottano una conclusione “salomonica”, dicendo che la scelta della terapia comporta un attento bilancio dei pro e dei contro associati ai trattamenti. Il vantaggio di un trattamento attivo immediato è sicuramente la riduzione dell’ansia, anche se – come giustamente sottolineato da Sartor nell’editoriale che accompagna la pubblicazione dello studio – una adeguata comunicazione può aiutare molto a far comprendere al paziente le ragioni della sorveglianza attiva rispetto al trattamento immediato. Probabilmente, oggi rispetto al 1999 (anno in cui il progetto era iniziato) c’è una maggiore consapevolezza dei benefici associati alla sorveglianza attiva.

Sartor sottolinea giustamente che molti pazienti inclusi nell’analisi avevano un tumore con caratteristiche di rischio basso, mentre i gruppi a rischio intermedio e alto erano sottodimensionati per poter trarre conclusioni definitive sull’applicabilità del messaggio complessivo anche in questi sottogruppi.

Uno studio pubblicato qualche anno fa sul Journal of Clinical Oncology (https://ascopubs.org/doi/10.1200/jco.2016.70.6317) evidenziava che, in una serie di pazienti lungo-sopravviventi dopo aver ricevuto una diagnosi di neoplasia prostatica localizzata, la probabilità di “pentimento” rispetto alla propria decisione terapeutica fosse maggiore nei soggetti che avevano poi sofferto di fastidi dopo la terapia. Peraltro, i soggetti “soddisfatti” circa l’accuratezza dell’informazione ricevuta erano poi quelli che più difficilmente si lamentavano della decisione precedentemente presa.

Dal momento che i trattamenti attivi sono inevitabilmente associati a una certa probabilità di riportare effetti collaterali, e che alcuni di tali effetti collaterali possono determinare un significativo impatto sulla qualità di vita, è ovviamente molto importante discutere accuratamente i pro e i contro di ciascuna opzione terapeutica, al momento della diagnosi.

Nelle linee guida AIOM 2021, la sorveglianza attiva è contemplata nei soli casi a rischio basso o molto basso, quando l’aspettativa di vita è maggiore di 10 anni, solo all’interno di rigorosi programmi di follow-up, basati sulla ripetizione sistematica delle biopsie prostatiche, del dosaggio del PSA, della visita clinica e, in casi selezionati, della risonanza multiparametrica. Nei casi a rischio intermedio o alto, sono contemplate dall’algoritmo delle linee guida AIOM solo opzioni di trattamento attivo. Il quesito contenuto nelle linee guida relativo alla sorveglianza attiva cita lo studio ProtecT (naturalmente non essendo ancora disponibile il follow-up a 15 anni ora pubblicato), sottolineando che “il follow-up di questo studio è ancora breve e il numero di eventi decesso ed eventi decesso cancro-specifico è basso. Inoltre, a differenza dei programmi strutturati di sorveglianza attiva, il monitoraggio nello studio non prevedeva l’esecuzione sistematica delle re-biopsie prostatiche, ma re-biopsie in caso di sospetto clinico o biochimico (cinetica del PSA) di progressione. Infine, non tutti i pazienti hanno ricevuto un trattamento differito con finalità radicali in caso di riclassificazione di malattia”. Il quesito si conclude con la raccomandazione “Nei pazienti affetti da carcinoma prostatico localizzato, a rischio molto basso o basso, la sorveglianza attiva dovrebbe essere presa in considerazione fra le possibili opzioni terapeutiche da offrire a questi pazienti, purché essi siano informati adeguatamente sui potenziali vantaggi e svantaggi e purché siano inseriti in protocolli rigorosi di follow-up presso centri che abbiano adeguata esperienza con questa strategia.” (raccomandazione forte a favore).