Patologia mammaria
Lunedì, 24 Aprile 2017

Scelta contraddittoria

A cura di Fabio Puglisi

La stima della prognosi (rischio di recidiva o di morte) e la stima del beneficio dei trattamenti sono fondamentali nel processo decisionale terapeutico che coinvolge medici e pazienti. Eppure, nella pratica clinica, si evidenzia spesso una grande distanza tra percezione e realtà. Gli effetti che ne possono derivare sono dannosi per gli stessi potenziali fruitori del beneficio terapeutico. È un po' come la storia dei vaccini. La paura di subire effetti collaterali e la percezione distorta sui benefici possono rivelarsi deleteri. Uno studio fa il punto sui fattori che influenzano la scelta di assumere o meno il tamoxifen quale trattamento adiuvante dopo una diagnosi di carcinoma mammario ER+. Dai risultati emerge uno scenario contraddittorio e, per questo, preoccupante. 

Narod SA, et al. Which women decide to take tamoxifen? Breast Cancer Res Treat 2017 (Published online)

Quali sono i fattori che predicono l'uso del tamoxifen adiuvante fra le donne con carcinoma mammario positivo per il recettori estrogenici (ER+)? 

Uno studio canadese ha analizzato una casistica di 1347 donne con carcinoma mammario ER+ trattate al Women’s College Hospital di Toronto tra il 1987 e il 2000. Per ciascuna paziente, è stata ottenuta l''informazione riguardo a età alla diagnosi, dimensioni del tumore, stato linfonodale, stato dei recettori estrogenici, trattamento ricevuto, data di recidiva locale e data di morte.

Lo studio ha confrontato le caratteristiche delle pazienti in base all'aver ricevuto o meno il trattamento con tamoxifen. Inoltre, attraverso il metodo di Kaplan–Meier sono stati analizzati i tassi a 15 anni di sopravvivenza libera da recidiva locale e di sopravvivenza globale (carcinoma mammario-specifica), confrontandoli fra i due gruppi di pazienti (tamoxifen sì verso tamoxifen no). 

 

Fra le 1347 donne con carcinoma mammario ER+ (stadio I–III; età media alla diagnosi: 55.2 anni, range 24–75), 1085 avevano ricevuto una chirurgia conservativa (80.6%) e 262 erano state trattate con mastectomia (19.5%).

In totale, 794 donne avevano assunto il tamoxifen (59%) e 553 no (41%). 

Complessivamente, il 50.4% delle donne che avevano ricevuto una mastectomia e il 61% delle donne trattate con chirurgia conservativa ha assunto il tamoxifen (p = 0.002).

L'uso del tamoxifen non è risultato associato ad alcuno dei fattori di rischio di morte da carcinoma mammario, quali la giovane età, le dimensioni tumorali e lo stato dei linfonodi. Le donne giovani (<40 anni) hanno avuto una mortalità carcinoma mammario-specifica a 15 anni più elevata (41.1%) rispetto alle più anziane (>60 anni)  (14.1%, p <0.01). Allo stesso tempo, fra le più giovani il tasso di assunzione del tamoxifen è risultato più basso (35.0 vs. 74.6%, p  <0.01). 

 

Circa la metà delle donne con carcinoma mammario ER+ candidate al trattamento con tamoxifen non ha assunto il farmaco.

L'assunzione del tamoxifen è stata maggiore fra le donne trattate con chirurgia conservativa rispetto alle donne che hanno ricevuto una mastectomia. Questa osservazione fa ipotizzare che ci sia una percezione errata dell'effetto protettivo di un intervento più invasivo (mastectomia) che possa consentire di evitare il trattamento sistemico con tamoxifen. 

Paradossalmente, la probabilità di assumere il tamoxifen è risultata minore fra le donne con fattori prognostici sfavorevoli (età < 40 anni alla diagnosi e/o stato linfonodale positivo).

Lo studio si è limitato a osservare l'uso del tamoxifen ma i risultati hanno implicazioni potenziali riguardo al tema della medicina personalizzata in oncologia. Utilizzando lo studio come esempio, si parte dal presupposto che la terapia adiuvante con tamoxifen riduce il rischio di morte del 30% come dimostrato dalla metanalisi dell'EBCCTG. 
Tuttavia, stimare il beneficio che una singola paziente può derivare dal tamoxifen in termini assoluti richiede una valutazione personalizzata del rischio.
Sulla base dei risultati dello studio, in assenza del tamoxifen, fra le donne <40 anni con carcinoma mammario ER+ il tasso mortalità è stato molto elevato (41%), specie in presenza di uno stato linfonodale positivo (58%). E' ragionevole dedurre che il beneficio maggiore dal tamoxifene si ha fra le donne più giovani. Eppure, lo studio mostra che solo il 35% delle donne <40 anni ha assunto il tamoxifen e solo il 21.3% delle donne < 40 anni con stato linfonodale positivo ha assunto il tamoxifen.

Perfezionare la comunicazione della prognosi (rischio di recidiva e di morte) e dei benefici potenziali della terapia è, prima di tutto, una necessità clinica.